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The Creator

«Come posso essere utile?».
È quello che chiede, servizievole, uno dei robot intelligenti, fatto a immagine e somiglianza degli uomini alla sua padrona, una delle tante lattine come le chiama Will Smith, protagonista del film I, Robot (A. Proyas, 2004), mentre la luce in pieno petto da rossa (pericolo), diventa di nuovo azzurra. Certo non siamo dalle parti di Matrix -ricordate il tormentone pillola rossa o pillola blu?, ma ci sono indubbiamente delle affinità, oltre alla Matrice e ai programmi senzienti -gli agenti in nero, c’è, come in Matrix, l’Architetto che ha creato l’A.I. e l’arma finale.
Dalla bomba di Oppenheimer alla bomba, che nel film esplode nel futuro postatomico, anche se effettivamente non si capisce se a lanciarla sono le A.I. -che vivono in oriente pacificamente con gli asiatici, nella Los Angeles del 2055.
Scritto e diretto da Gareth Edwards, già regista di Rogue One (2016), uno dei migliori, nuovi film spin-off, di Star Wars, Godzilla (2014) e che ha esordito nel 2010 con Monsters, un film low budget, ma davvero ben realizzato per essere un’opera prima. Intervistato, il regista inglese, ha affermato che il film: «Ha seguito traiettorie produttive decisamente diverse rispetto agli standard di analoghi prodotti hollywoodiani»(1) e a convincere la produzione a non utilizzare il green screen, ma effettuare le riprese in location vere.
Sebbene «Le sue AI sono al contrario dei robot, un tòpos ormai vintage nella fantascienza, e rappresentano “l’altro”, il diverso da noi, che ci fa tanto più paura quanto più è esotico. Non a caso vengono accolte in Oriente ed è contro gli asiatici che gli americani tornano a fare la guerra, come ai tempi del Vietnam, con tanto di bombardamenti, assalti a villaggi e fucilazioni»(2).
Come Skynet, la A.I. della saga di Terminator, la W.I.K.I. del già citato I, Robot, ma anche il film omonimo (2001) di Spielberg e, per certi versi Il mondo dei robot (M. Crichton, 1973), le angosce dei due Blade Runner, ma anche di Trascendence (W. Pfister, 2014), e soprattutto le paranoie delle Unità Centrali (CPU) come HAL di 2001 e di Generazione Proteus (D. Cammell, 1977), passando per War Games (J. Badham, 1983), dove si arriva sull’orlo di una Guerra Termo Nucleare Globale, il film di Edwards, analizza il tutto sia concettualmente che all’atto pratico, realizzando un prodotto quantomeno dignitoso.
Qui l’arma definitiva, è una bambina, un “Simulat”, non un semplice «copia e incolla», -ogni robot è solo un involucro senza coscienza, ma ottenuto con la scansione di un embrione umano, si chiama “Alfa O.”, cioè “Alfa e Omega”, chiaro riferimento al film L’altra faccia del Pianeta delle Scimmie (T. Post, 1970), non solo perché anche qui il protagonista si chiama Taylor, come C. Heston, ma perché, nel finale, egli crea l’Apocalisse, facendo esplodere l’arma più potente mai costruita, appunto la bomba definitiva, che ha, sulle alette le due lettere dell’alfabeto greco “A” e “Ω”.
Ma anche gli esseri umani hanno costruito una nuova arma, una sorta di stazione spaziale, -un’enorme astronave, che incombe come una minaccia ovunque essa si trovi, il suo nome è Nomad, che potrebbe significare “nomade”, data la sua natura errante, ma in realtà significa: “North American Orbital Mobile Aerospace Defense”.
Come non pensare quindi al vero NORAD (=North American Aerospace Defense Command; in italiano: Comando di Difesa Aerospaziale del Nord-America), un’organizzazione congiunta del Canada e degli Stati Uniti, formata da una serie di stazioni radar, che dal 1958, fornisce un quadro di insieme sulla situazione (natura, posizione, direzione e velocità) di ogni oggetto volante nell’ambito aerospaziale del Nord America (Wikipedia).
Oltre alla tecnologia avanzata, c’è anche una forte impronta spirituale, non solo per la presenza di monaci buddisti robot, ma per il termine Nirmata, che è la parola con la quale gli umani definiscono il nemico. Deriva dal nepalese e significa “creatore divino”, The Creator, appunto.
Se nel film di Proyas I, Robot, Sonny suicida il suo creatore, da questi programmato allo scopo, quindi senza l’impostazione delle tre “Leggi della Robotica” sviluppate da Asimov, qui si assiste al ribaltamento dei ruoli. La bambina, programmata per crescere, imparare ed evolvere, può piangere e qui il riferimento è a Terminator 2 (J. Cameron, 1991), quando il ragazzino John Connor, affezionatosi al cyborg (tecnicamente nel film di Edwards, anche il protagonista, sebbene umano, ha un braccio e una gamba artificiale è, di fatto un cyborg), che piangendo, lo supplica di non terminarsi, per sentirsi rispondere: «Ora capisco perché piangete, ma io non potrei mai farlo». Citazione semplice, ma efficace perché ha tutto di umano, in qualcosa che umano non è, ed è questa la sfida, da accettare o meno. «Non riuscirete a sconfiggere le A.I. È levoluzione».
Paul Virilio uno dei massimi pensatori del secolo scorso -teorico culturale ed esperto di nuove tecnologie, ebbe a dire(3) che le nuove tecnologie, come tutte le tecnologie, introducono un incidente specifico: inventando il treno si é inventato il deragliamento, inventando laereo lo schianto al suolo, inventando la nave il naufragio, ecc. Se il concetto all’epoca, fu riferito alla Realtà Virtuale, confluita poi nella Realtà Aumentata, siamo perfettamente consapevoli a cosa porterà lo sviluppo delle A. I. Che la si chiami Singolarità o con un altro termine, nel momento in cui la macchina prenderà coscienza di sè, aprirà sì nuovi scenari per la specie umana, ma la strada verso il futuro sarà sempre piena di ostacoli e, comunque quello che ci attende all’orizzonte resta sempre, il nostro, un Destino Oscuro.

Note:

3. Paul Virilio, in Virtual” nº 8, Aprile 1994.

Fonti:

Dune: messaggi dal profondo

Dune. Nessun altro termine, forse, tra i tanti proposti dalla fantascienza o dalla semplice avventura è più esotico, evocativo, discordante, a tal punto da portare la mente, sopraffatta dalle immense distese sabbiose ad estraniarsi, ma anche a immergersi dentro sé stessa: in definitiva sono proprio i concetti cardine che reggono il film. L’opera terza, fantascientificamente parlando, di Denis Villeneuve, che ormai sembra avviato verso un successo planetario avendo già in curriculum opere come Arrival (2016, qui la mia recensione) e il remake Blade Runner 2049 (2017): il film è «una travolgente sinfonia di spettacolo, suoni e narrazione. Un’odissea cinematografica che è tanto viscerale quanto epica»(1).
La sceneggiatura è tratta dal romanzo omonimo di Frank P. Herbert, che con il suo Ciclo, «affronta temi complessi cari allo scrittore come la sopravvivenza umana, l’evoluzione, l’ecologia e la commistione di religione, politica e potere»(2). Una delle migliori opere di fantascienza mai scritte, tanto popolare, da essere, secondo me, paragonata, non senza sfigurare, ad altri capisaldi della FS, primo tra tutti, il Ciclo della Fondazione di I. Asimov, mentre dal punto di vista cinematografico, si pone tra le due saghe che sono la storia stessa della Science Fiction: Star Wars, per l’impronta fantasy, e Star Trek.
Il romanzo, pubblicato in due parti, tra il 1963 e il 1965 (il regista Villeneuve ha firmato anche per un sequel), narra di una lotta tra la dinastia Atreides e gli Harkonnen, la cui civiltà bellicosa ricorda un po’ quella dei Necromonger del film Riddick (D. Twohy, 2004), l’oggetto di discussione è lo sfruttamento di una rara e preziosa spezia (Melange) che si trova solo sul pianeta Arrakis, conosciuto anche come… Dune.
Il regista canadese, non è il solo ad esserci cimentato con questa monumentale opera, già dopo vent’anni dall’uscita del libro, ci furono diversi tentativi, il primo che aveva tutta l’intenzione di essere un vero kolossal, ma che rimase tale solo sulla carta, avrebbe dovuto aver la firma di A. Jodorowsky(3), artista eclettico, che cercò di coinvolgere maestri del calibro di Moebius (scenografie e costumi per Blade Runner), HR Giger (Alien) e persino Salvador Dalì e Orson Welles. Ma fu Dino De Laurentiis a offrire la regia a un giovanissimo David Lynch che realizzò il film nel 1984. Purtroppo il film fu un mezzo fallimento sia di critica che di pubblico, a fronte di un budget per quei tempi stellare (40 milioni di dollari).
Il Dune di Villeneuve è di più ampio respiro, anche se si nota la stridente differenza tra le scenografie e l’ambientazione interna dove traspare un’atmosfera cupa, di tipo monastico, ma spigolosa, tetra, dove a farla da padrona sono le ombre, le luci quasi assenti, il simbolismo in ogni singolo oggetto, dalle pareti, alle suppellettili, ai monili e alle armi.

I due protagonisti su Dune

Una fotografia intensa, che per le scene esterne, desertiche, spoglie, ricorda a tratti quella fantastica ammirata in Blade Runner 2049, un giusto mix quindi tra effetti speciali visivi e quelli in post produzione, con panoramiche immense, sovrastate da enormi astronavi che sembrano come fatte di roccia, cubiche, in antitesi con le forme-pensiero di Arrival. In quel caso, il regista riuscì ad imbastire una trama speculativa (la fantascienza che implica la riflessione, la concettualità alla realtà), qui non è da meno e come detto oltre al rapporto tra l’uomo e la Natura (con la ENNE maiuscola), nella FS spesso ostile, c’è il rapporto interiore che sembra a volte urlare, appunto inascoltato, come in un deserto: «Il mistero della vita non è un enigma da risolvere, ma una realtà da sperimentare». Il giovane Paul Atreides, rispecchia appieno questo dualismo, allevato come guerriero dal padre Duca, ma dalla madre, una sacerdotessa, ad interrogarsi sempre su quale sia il senso della vita, fino a diventare una sorta di profeta per i Fremen che abitano Dune: «Conoscerà i vostri usi come se fosse nato tra voi».
Non solo, ma «Come sabbia in un setaccio, noi setacciamo la gente», solo così si ottiene il potere del cielo e del mare, sul pianeta natale, il potere del deserto, su Arrakis. Quindi alla fine, qual’è il messaggio profondo? Da dove arriva, dalle profondità del cosmo, da Dune, oppure… il pianeta deserto è metafora dell’animo umano, un posto arido, desolato, senza vita, quasi senza un futuro, con tutti i suoi mostri (i giganteschi vermi che vivono sottoterra), nel suo subconscio e non basterà nessuna sostanza allucinogena ad evitare l’autodistruzione perchè: «Quando togli una vita la togli a te stesso».

 

Nota dell’autore:
Dove non specificato le citazioni sono tratte dal film

Note:
1. https://www.fantascienza.com/27190/dune-le-prime-reazioni-dal-festival-di-venezia
2. https://it.wikipedia.org/wiki/Frank_Herbert – Raccolte_di_racconti
3. https://www.fantascienza.com/27176/arriva-nei-cinema-il-documentario-sul-dune-di-jodorowsky

Altre fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Dune_(romanzo)
https://it.wikipedia.org/wiki/Dune_(film_1984)
https://it.wikipedia.org/wiki/Dune_(film_2021)
https://www.mymovies.it/film/1984/dune/
https://www.mymovies.it/film/2021/dune/pubblico/?id=1670582
https://www.mymovies.it/film/2021/dune/
https://www.fantascienza.com/27226/dune-e-arrivato
https://www.fantascienza.com/27221/dune-l-uscita-su-hbo-max-puo-condizionare-la-realizzazione-della-seconda-parte
https://www.fantascienza.com/27220/dune-la-featurette-sulle-casate-reali
https://www.comingsoon.it/film/dune/55957/recensione/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/dune-denis-villeneuve-prende-le-distanze-dallo-stile-marvel/n128743/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/dune-la-spiegazione-della-trama-e-dei-personaggi-in-un-video-ufficiale/n128698/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/dune-il-nuovo-film-di-denis-villeneuve-e-al-cinema-ecco-dove-vederlo/n128682/

credit:
www.mymovies.it

Creators, the past

«Un film dove la fantasia svela la realtà».
Questa è l’intrigante tagline che apre il film Creators, diretto da Piergiuseppe Zaia, scritto con Eleonora Fani, che dà anche il volto e le movenze, sexy, a Lady Airre. Presentato in anteprima al Lucca Comix, lo scorso anno, finalmente approda nelle sale italiane, il primo lungometraggio di Zaia, girato in 5k, con la tecnica del green screen, in una produzione tutta italiana, come risposta ai blockbuster americani, ma soprattutto per lanciare la fantascienza italiana verso l’olimpo, è il caso di dirlo, cinematografico.
In passato, nel secondo dopoguerra del secolo scorso soprattutto, il cinema di fantascienza italiano è stato costellato di pellicole a basso, se non bassissimo budget, realizzati più da mestieranti del cinema e degli effetti speciali visivi, opere che hanno avuto, purtroppo, un cammino a sè stante, a parte forse Nirvana (G. Salvatores, 1997), una produzione Italo-francese, oppure 6 giorni sulla Terra (V. Venturi, 2011), film che ha avuto un buon successo se non altro fra gli appassionati di alieni, rapimenti e teorie complottistiche(1).
Il lavoro di Zaia (primo capitolo di una trilogia), la maggior parte svolto in post produzione, con più del 66% di shots, relativi agli effetti speciali, punto focale di tutto il lavoro, anche perché il supervisore è Walter Volpatto, che ha lavorato nell’ultimo capitolo di Star Wars, ma anche con una tecnica di prim’ordine non si è riuscito a sollevare una trama poco convincente e avvincente. Il cast, invece, è formato da attori di livello hollywoodiano come Chris Payne, Gérard Depardieu e l’inossidabile William Shatner, che per i pochi che non lo sapessero è stato per anni al comando dell’Enterprise in Star Trek, e qui, in un’improbabile look, recita il ruolo di Lord Ogmha, capo degli 8 Lord che compongono il Consiglio Galattico. I Lords, per scongiurare la catastrofe si riuniscono alla ricerca di uno di loro e della Lens, una boccia in metallo, depositaria del segreto della creazione, e del dna, l’essenza stessa dell’esistenza del pianeta alla quale essa è abbinata.

William Shatner è Lord Oghma

Ma il Lord che governa la Terra, non vuole cedere al volere del Consiglio, e quindi nasconde la sua Lens, proprio sul nostro pianeta.
Inoltre, L’evoluzione dell’uomo non ha seguito, sulla Terra, il progetto stabilito, quindi la lotta diventa necessaria, anche perché la Lens ha in serbo tutta la storia umana, (quella vera?), quella che i potenti nascondono con tutte le forze al resto dell’umanità che, se venisse svelata causerebbe il collasso della nostra civiltà, ad iniziare dalle religioni e dalla cultura dominante.
La fantasia svela la realtà, si diceva all’inizio: non siamo d’accordo, la fantasia a volte, è fine a se stessa, ma siccome nel film c’è anche Mauro Biglino(2), che interpreta sè stesso, cercheremo di svelare quel quid in più usando il suo personale adagio: «Facciamo finta che…».
E allora, facciamo finta che le domande: «Da dove veniamo» e «dove stiamo andando», che la voce narrante recita all’inizio, non rimandino a Blade Runner (Ridley Scott, 1982). Poi: «È giunto il momento della grande rivelazione! (…) i Lord si riuniscano per prepararsi a un nuovo allineamento» (dei pianeti, l’azione parte dal 2012, nda), le galassie entreranno in una nuova era e che «questa è una storia vera»(3).
È mia opinione che la storia vera, è affare di pochissime persone, quelle che conosciamo sono teorie, solo che alcune vengono accettate come vere e le altre no.
È la stessa Eleonora Fani che sostiene: «Siamo abituati a farci raccontare tutto dalla televisione e dai media, a non porci tante domande, e noi invece cerchiamo di stuzzicare la curiosità e l’intuito delle persone e di risvegliare magari in qualcuno l’idea che forse tutto quello in cui abbiamo creduto fino ad ora forse non è proprio così»(4). Facciamo finta che, il disaccordo nel Concilio e la lotta tra gli Dei che ci hanno creato, non sia una storia antica e che non rievochi la creazione e al contrasto tra chi voleva eliminare l’umanità dopo averla creata e chi invece credeva in un suo riscatto che non c’è stato mai. Facciamo finta che le guerre non si fanno per motivi religiosi o economici, che l’aiuto di oggi non diventi la schiavitù di domani, anche se purtroppo così è stato, quando la paura di disperdersi per l’uomo, nel mondo, non divenne panico (dal film).
Non dirò del virus alieno, anche qui facciamo finta che non faccia parte anche della mitologia della serie cult degli anni ‘90: X-Files. Non dirò del re scorpione, protagonista in diversi film è che si fece strada agli inferi per recuperare la spada (questa, nel film viene appunto trovata in un cimitero), dopo aver evocato Seth, il Dio del Caos, anche se per molti è un termine spregiativo, ma è dal Caos che nasce l’armonia (dal film).
Per recuperare la LensLady Airre si avvale dell’aiuto di Sofy, e di nuovo facciamo finta che la ragazza non abbia capacità paranormali e che da bambina non sia stata rapita dagli alieni. Mentre Lord Kanaff, il responsabile del pianeta Terra, utilizza, Natan, figlio ibrido proprio di Lady Airre.
Da qui, senza voli pindarici, entriamo più nello specifico, per svelare i messaggi esoterici, nascosti, di cui la pellicola è piena. A iniziare proprio da Natan: il nome è presente in diverse lingue, ebraico compreso, è di fatto un nome biblico, citato varie volte nell’antico testamento, nome di un profeta, deriva dalla parola Nathanel, formata da Nathan “dono” e “El” Dio, quindi “dono di Dio”, di fatti egli è figlio della dea Airre. «Otto pianeti, otto sovrani, otto Lens! Le Lens posseggono un potere immenso».
Il numero 8 ha molti significati. Innanzitutto l’8 ruotato di 90°, rappresenta il simbolo dell’infinito; è il numero atomico dell’ossigeno, elemento importante per la vita sulla Terra e, dopo il declassamento di Plutone, 8 sono i pianeti principali; inoltre l’8 è universalmente considerato come il numero dell’equilibrio cosmico. Il suo segno zodiacale di riferimento, non a caso è lo Scorpione. La maggior parte delle strutture sacre, chiese e templi hanno pianta ottagonale, l’ottagono è il simbolo della Resurrezione(5). Rappresenta, infine la padronanza nel governare il potere sia materiale che spirituale.
Quale potrebbe essere, alla fine, la storia vera? Ormai è chiaro che la conoscenza nascosta è molto più consistente e stimolante rispetto a quella accademica istituzionale. Tenere l’umanità nell’ignoranza è il modo perfetto per esercitare il potere, diversamente si apprenderebbe che l’uomo è stato creato da una razza aliena, che il suo corpo, ma forse anche questo pianeta sono una sorta di prigione, e che la vera energia, lo spirito presente nel suo dna (dove si troverebbe la firma degli Dei, che dei non sono), sono talmente potenti che, se usati, come vuole l’esoterismo, potrebbero essere addirittura in grado di «spostare le galassie».

Note:
1.Il film è ispirato agli studi del prof. C. Malanga, dell’Università di Pisa, primo in Italia e fra i primi nel mondo a studiare, scientificamente, i rapimenti alieni con l’uso dell’ipnosi regressiva.
2.Mauro Biglino ha tradotto dall’ebraico biblico, 17 volumi per le Edizioni San Paolo. Basandosi sulla traduzione letterale, Biglino affronta la Bibbia da un lato attribuendole una natura di cronaca storica, dall’altro desumendone ipotesi inseribili nel filone della paleoastronautica e del creazionismo non religioso.
3.https://www.comingsoon.it/film/creators-the-past/58001/scheda
4.https://www.comingsoon.it/cinema/news/creators-the-past-i-segreti-del-colossal-fantasy-made-in-italy-svelati/n112194/
5.Nel film viene ipotizzato che Gesù sia di origine aliena.

Fonti:
https://www.fantascienza.com/26221/creators-the-past-debutta-oggi-il-colossal-fantascientifico-italiano
https://www.fantascienza.com/21967/creators-the-past-dall-italia-una-trilogia-di-fantascienza-con-shatner-e-depardieu
https://www.comingsoon.it/film/creators-the-past/58001/scheda/
https://www.mymovies.it/film/2020/creators-the-past/
https://maurobiglino.it/2020/10/finalmente-e-arrivato-creators-the-past-il-colossal-con-mauro-biglino/
http://www.levantenews.it/index.php/2020/10/02/sestri-creators-the-past-primo-kolossal-di-fantascienza-made-in-italy/
https://www.ilgiardinodegliilluminati.it/significato-dei-numeri/numero-otto/
https://it.m.wikipedia.org/wiki/8_(numero)
https://www.tuscanypeople.com/simbolo-numero-8/
https://www.mitiemisteri.it/significato-dei-numeri-simbologia-del-numero/otto-8

sito ufficiale del film: https://creatorsmovie.it

credit
immagini tratte da:
https://www.mymovies.it/film/2020/creators-the-past/poster/0/
https://cinema.fanpage.it/creators-the-past-trama-trailer-e-curiosita-del-kolossal-fantasy-di-piergiuseppe-zaia/

Spartacus: Orizzonti di gloria

A vent’anni dalla morte del maestro Stanley Kubrick (1928-1999), da molti considerato il più grande di sempre, non è stato semplice scegliere due film che lo rappresentassero (ne ha girati una decina, tutti capolavori o quasi), ma che soprattutto descrivessero, secondo me, il delicato momento storico-sociologico che stiamo vivendo. Certo per i cultori del cinema kubrickiano, lasciar fuori titoli come Lolita (1962), vero e proprio scandalo all’epoca, Eyes Wide Shut (1999), con punte elevate di esoterismo, Shining (1980) o il capolavoro per eccellenza 2001: Odissea nello spazio (1968), che io pongo ai vertici, insieme a Blade Runner, nella classifica delle preferenze, può sembrare un azzardo, o addirittura una lacuna nella conoscenza del cinema e soprattutto dell’uso che Kubrick, fece della Macchina Da Presa.
Il testo che segue quindi è una breve panoramica sui due film, in particolare il primo, sulla capacità tecnica e artistica del regista anglo-americano e sul significato nascosto che alcune scene sembrano avere rispetto ad una visione prettamente ortodossa.
«Misantropo, maniaco del controllo, autore di film algidi e anti-umanisti che nascondevano una visione del mondo e del potere anarchica, e la coscienza dei limiti del cinema»(1). Questa è una delle tante definizioni che i critici hanno espresso per il lavoro del genio nato a New York. Per altri è «stato capace di aggiornare all’era postmoderna e digitale l’ossessione formale, il perfezionismo, lo spessore filosofico, la capacità di fare propri e personali e coerenti con la sua visione autoriale i generi, lasciandoli al tempo stesso chiaramente riconoscibili…»(2). Per altri ancora «Kubrick ha preso storie esistenti decuplicandone la potenza per accedere a quelle stanze dell’inconscio che fanno a cazzotti con la ragione e che mandano in corto circuito la nostra identità di individui»(3).
Non sì può non essere d’accordo almeno con quest’ultima definizione, non solo, ma entrambi i film, sebbene ambientati in epoche cronologicamente molto distanti, analizzano il concetto di guerra da un’angolatura completamente nuova che arriva a ribaltare il concetto stesso, l’impatto che essa ha sulle sorti dell’umanità, visto che è ancora il traino principale che muove l’economia mondiale.
Il trait d’union, sono i due protagonisti, tutti e due interpretati magistralmente da Kirk Douglas, classe 1916, in Spartacus (1960), anche produttore esecutivo e che sostituì il regista A. Mann con Kubrick.
Premesso che chi scrive considera il famoso schiavo (personaggio storico, nato nel 109 a.C.) uno dei pochi veri eroi dell’umanità, «uno dei migliori protagonisti dell’intera storia antica e un genuino rappresentante dell’antico proletariato» (Karl Marx), e rapportandolo agli eroi cinematografici, è un supereroe ante litteram anche se è senza maschera e senza costume. Spartacus (o Spartaco), ha diversi punti in comune con il colonnello Dax, schiavo il primo, schiavo il secondo, non solo perché è in trincea, ma perché è costretto a sottostare ad ordini che egli rifiuta categoricamente e moralmente.

Kirk Douglas in Orizzonti di gloria

Orizzonti di gloria (1957) è un capolavoro perché mette alla berlina tutta la sfera militare, nel momento in cui per evitare ripercussioni dal punto di vista personale, i generali scaricano la colpa sui soldati riluttanti ad attaccare il nemico, quindi ad uscire allo scoperto (cosa che non ha paura di fare Spartaco), arrivando persino a spedire davanti al plotone di esecuzione molti di loro, pur di non ammettere la tattica completamente errata e vòlta al sacrifico (omicidio?) dei fanti.
In netto contrasto con la famosa frase «I’am Spartaco» gridata da tutti gli ex-schiavi al momento in cui i romani chiedono di identificare il loro capo.
Se come detto la guerra (il vero nemico), è la spinta per l’economia mondiale, la politica diventa effetto di una sorta di crudele gioco il cui obiettivo finale resta sempre quello del divide et impera. Addirittura nel dialogo che segue non si può non notare un parallelismo con l’attualità.
Il senatore Crasso al condottiero Marco Glabro: «Credi che ti abbia fatto comandante della Guarnigione per controllare quattro sassi del Vesuvio? O per controllare le strade di Roma?». «Ma io avrò appena sei coorti, il resto della Guarnigione rimane qui».
«E chi lo comanda?». «Giulio Cesare» (omissis) «Hai le legioni accampate alle mura della città». «Le mie Legioni? E tu credi che ordinerei alle legioni di entrare in Roma?».
«Ti ho prospettato che potresti, se fossi costretto!». «Non sai che la più antica legge di Roma vieta ai Generali di entrare in città con legioni armate?». «Silla lo ha fatto». «Silla? Ma a infamia del suo nome, a estrema dannazione della sua stirpe! No ragazzo mio, io ripulirò un giorno questa Roma affidatami dai miei avi. Restaurerò le antiche tradizioni che la fecero grande e dunque non prenderò il potere, né mi difenderò con un atto che tradisse la più sacra tradizione di Roma. No ragazzo, non porterò le Legioni entro queste mura, né ho intenzione di violare Roma, quando posso riuscire a possederla (omissis) Ci hanno fatto già passare da stupidi, non mettiamoci anche la giubba del pagliaccio». Il senso del dialogo è fin troppo chiaro, il potere di un solo uomo è per definizione dittatura, la democrazia è ancora una chimera, chi sta più in alto detta gli ordini, giusti o sbagliati che siano, come in Orizzonti di gloria.
Allora come si può risolvere una disputa, qualunque essa sia? Semplicemente “a chi fa la voce più grossa” come ad esempio in Attacco al potere (E. Zwick, 1998) con D. Washington, agente dell’FBI, che arresta il generale B. Willis, che con le sue truppe ha invaso una New York devastata da diversi attentati terroristici, sebbene questi abbia ordini superiori. Chiusa la questione, il capro espiatorio, viene servito in pasto ai media asserviti al potere. La realtà si confonde, i dubbi aumentano: Terrorismo o Patriottismo? Solo i posteri potranno giudicare, ma Kubrick ha le idee chiare tanto che il colonnello Dax, in Orizzonti di gloria, cita Samuel Johnson(4):
«Il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie!».
Mentre oggi, i militari, vengono definiti: “Forze armate… di pace”! Addirittura i concetti si capovolgono, facendo capire alle masse ormai mezze addormentate, il contrario.
Ma «Chi vuole fare la guerra?». Dal dialogo tra lo schiavo, divenuto generale e Varinia la moglie, si scopre uno Spartaco impensabile, deluso dal comportamento umano, il suo desiderio di conoscenza, di rispetto per la natura e il creato. Se pensate che questa sia un’iperbole, lontana appunto anni luce sia da questo film che da Orizzonti di gloria, l’apice si ha ne Il dottor Stranamore (1964), dove viene rappresentata, senza mezzi termini, l’idiozia umana.

«Goodbye My Life»

Il finale di Spartacus poi è un’escalation di nozioni che vanno molto al di là delle comuni concezioni, vecchie, logore e in molti casi, false.
La scena è di una profondità non sporcata da ideali e dove le credenze, ancora una volta, si ribaltano: Spartaco crocifisso sulla via Appia insieme a migliaia di altri schiavi (fatto storico, non confermato), aspetta la morte quando, prima di esalare l’ultimo respiro, vede arrivare la moglie che porta in braccio il loro figlio appena nato. Cosa vuole dirci in questo caso Kubrick, è una sua versione della Sacra Famiglia e di ciò che veramente accadde nel venerdì Santo di una Pasqua lontana duemila anni?
È il Padre che si sacrifica per il Figlio, è il Padre che rende con la sua morte la libertà al figlio e redime l’umanità dalla schiavitù. E ancora è la moglie (la Maddalena?) che si aggrappa ai piedi del Marito inchiodati alla croce, questo a sfatare il fatto che Maria forse, secondo i Vangeli Apocrifi, non era presente alla Crocifissione.
La carrozza con la moglie e il figlio si allontana lentamente all’orizzonte: la morte qui, non deve far paura, non è una sorta di liberazione, ma è continuazione, non la fine di tutte le cose, ma l’inizio.
A conferma di quanto esposto, ecco il breve dialogo precedente, fra Antonino (T. Curtis) il cantore: «Solo, ora mi sento, perduto e solo in un mondo lontano» (frase che sintetizza anche il finale di “2001”), che chiede all’amico: «Ti fa paura morire, Spartaco?». «Non più che allora il nascere».

Note:
1. https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2019/03/06/news/stanley_kubrick_20_anni_dalla_morte-220851984/#gallery-slider=66176936

2. https://www.comingsoon.it/cinema/news/kubrick-oltre-kubrick-chi-sono-oggi-gli-eredi-del-grande-stanley-a-vent/n87237/

3. https://www.comingsoon.it/cinema/news/stanley-kubrick-a-vent-anni-dalla-morte-e-sempre-una-leggenda/n87309/

4.Samuel J. Johnson (1709-1784) è stato un critico letterario, poeta, saggista, biografo e lessicografo britannico. È spesso citato come dottor Johnson. Fu un devoto anglicano e politicamente un tory ed è stato classificato come “senza dubbio il letterato più illustre nella storia inglese”. Wikipedia

fonti:
https://www.comingsoon.it/cinema/news/stanley-kubrick-e-l-eredita-tradita/n87329/
https://it.wikipedia.org/wiki/Orizzonti_di_gloria_(film)
https://www.mymovies.it/film/1957/orizzontidigloria/
https://www.mymovies.it/film/1960/spartacus/
https://it.wikipedia.org/wiki/Spartacus
https://it.wikipedia.org/wiki/Spartaco

credits, immagini tratte da:
https://www.mymovies.it/film/1960/spartacus/poster/0/
https://rivegauche-filmecritica.com/2014/10/26/orizzonti-di-gloria-1957-di-s-kubrick-il-piu-grande-film-antimilitarista-della-storia-del-cinema/
https://www.youtube.com/watch?v=w0cXyGVsUjs

2019: the future is now!

Il mio primo contatto con la Fantascienza (FS) avvenne, come per molti della mia generazione, a metà degli anni settanta, con la serie cult Spazio 1999. La tv era ancora in b/n, ma la creatività degli autori, i coniugi Gerry e Sylvia Anderson, seppe suggestionare i telespettatori, facendoli quasi toccare la Luna con un dito. In fondo lo sbarco dell’Apollo 11, se mai ci sia stato (vedi qui), era avvenuto pochi anni prima della produzione della serie tv, ma guardare la Base Lunare Alfa, le candide divise bianche dei protagonisti e soprattutto le porte scorrevoli che si aprivano e chiudevano automaticamente al passaggio e che alcuni anni dopo sarebbero state installate ovunque e, infine i comunicatori altrettanto funzionanti (non quelli di Star Trek), quasi cellulari ante litteram, sembravano proprio di un altro mondo. Il binomio titolo, film o romanzo che sia, e un numero ad indicare l’anno, nella FS, è quasi indissolubile (come leggere un racconto o un fumetto legato alla Science Fiction), rendeva il tutto più intrigante e coinvolgente dato che la domanda che tutti ci ponevamo all’epoca, ma ancora oggi, è: “quello che sto guardando accadrà un domani?”. Questo che segue è una breve digressione sui film di fantascienza che hanno all’interno del titolo un anno, oppure sono ambientati, in un anno specifico.
Esattamente un anno prima dell’allunaggio uscì al cinema il film dei film di FS: 2001 Odissea nello spazio di S. Kubrick. Il mondo degli appassionati e non restò sbalordito dalla coerenza scenica: la salita sottosopra della hostess, la stessa che prende la penna che fluttuava a mezz’aria, cose da restare a bocca aperta, in particolare se si pensa che Kubrick per girare la scena ricorse ad un adesivo sperimentale incollato su un vetro con la penna e, in realtà era il vetro che girava davanti alla cinepresa. L’evoluzione della razza umana, ad opera del monolito nero, a rappresentare l’intervento di un’intelligenza superiore, fino a Giove e oltre l’infinito.

Una scena di 2001, al centro i “tablet”

Nel film compaiono una sorta di tablet, quasi come quello con il quale sto scrivendo il post e che poco tempo fa ha portato in tribunale i colossi Apple, che rivendica la paternità dell’invenzione, e la Samsung che ha fatto ricorso alla cosiddetta prior art(1). L’intelligenza superiore (divina o extraterrestre) si manifesta nel seguito ufficiale del capolavoro kubrickiano e cioè 2010: l’anno del contatto (P. Hyams, 1984), dove il sorprendente finale, non solo fa capire che tale intelligenza esiste, ma la stessa veglia da sempre sulla razza umana, dandogli l’ennesimo comandamento, prima che Giove stesso diventi una stella: il messaggio dice che tutti questi mondi sono nostri tranne il satellite gioivano Europa, sul quale l’uomo non deve atterrare, per nessun motivo. Una sorta di Eden? E una sorta di Eden spaziale sono le astronavi di 2002: la seconda odissea (D. Trumball, 1971) che si ricorda solo per la forte valenza ecologica, visto che le astronavi trasportano, come in un’arca, tutte le specie, stavolta, vegetali. Ritornando a Kubrick purtroppo egli morì prima del “suo” 2001, nel 1999, anno fatidico non solo per la cinematografia di FS, ma per tutta l’umanità visto che ci sarebbe stato il cambiamento di tutte e quattro le cifre che compongono gli anni. In 1999: conquista della Terra (J. Lee Tompson, 1972) quarto capitolo della fortuna saga de Il pianeta delle scimmie, che prendono possesso del pianeta: la saga che ha avuto vari remake e prequel/sequel arriva fino all’Anno 2670: ultimo atto girato dallo stesso regista nel 1973. Un’umanità «eccitata e spersa» festeggia il capodanno del 2000 in Strange Days, che sono i giorni che sembra stiamo vivendo oggi; il film è del 1995 girato dalla regista premio Oscar ed ex moglie di J. Cameron, K. Bigelow.
Ora è l’uomo ad aver paura di sè stesso e dei rischi che corre se continua sulla strada dell’autodistruzione.
Il film 2000: la fine dell’uomo (C. Wilde, 1970), parla proprio di inquinamento e relativa sopravvivenza della razza umana. La stessa umanità inoltre si è trovata a combattere contro un nemico quasi invisibile ma molto potente: i virus, scatenatesi, per colpa o accidentalmente, dalla creatura più intelligente che vive sul pianeta. È del 1963 il film L’ultimo uomo della Terra dell’italiano U. Ragona, il protagonista, l’attore Vincent Price, vaga da solo nel quartiere EUR a Roma la cui architettura aumenta in realtà la claustrofobia di un’opera eccezionale. Tratto dal romanzo di R. Matheson: Io sono leggenda, ha avuto diversi remake da 1975: Occhi Bianchi sul pianeta terra (1971), di B. Sagal con C. Heston, al capolavoro omonimo con Will Smith. E vera e propria leggenda è K. Russell ne 1997: fuga da New York, diventata nel frattempo un carcere a cielo aperto; il film di J. Carpenter è del 1981, ma chi di noi non ha la sensazione, oggi, di vivere in un carcere a cielo aperto con tutte le restrizioni e i controlli alla Grande Fratello? Il film sul romanzo best seller di G. Orwell 1984 (scritto nel 1948) si intitola Nel 2000 non sorge il sole (M. Anderson, 1956) e il suo remake diretto da M. Radford, uscito proprio in quel fatidico anno. Oggi tutto è sotto controllo, fra poco forse, ci faranno pagare persino l’aria -e non è una battuta, basta leggere il romanzo di Lorenzo Iacobellis: Oxygen(2).
Kevin Costner è protagonista e regista del film: L’uomo del giorno dopo (1997), il divo hollywoodiano cerca di far risorgere il servizio postale in un mondo postatomico, nel 2013 si trova a dover combattere contro una sorta di dittatore per liberare, quel poco di umanità rimasta, dallo schiavismo e ripristinare la democrazia: curioso, visto che tutto è iniziato dalle semplici mail.
Nella saga Ritorno al futuro (R. Zemekis) che copre più di un secolo (1885, 1955, 1985, 2015), oltre alle scarpe con gli autolacci, al giubotto che si asciuga da solo, allo skateboard anti gravità, si parla del meteo preciso al secondo(?), del fatto che le “poste” non lo siano altrettanto, e del sistema giudiziario: il figlio del protagonista viene arrestato, giudicato e condannato in due ore perché nel futuro «hanno abolito gli avvocati!».
Arriviamo al film e alla data di tutte le date, e che avrebbe dovuto cambiare il destino della razza umana: 2012, dal re, indiscusso, del catastrofismo R. Emmerich (2009). Fra lo sconquasso totale dei continenti secondo la teoria dello spostamento delle placche tettoniche (e i Segnali dal futuro ci sono tutti), il solo continente a salvarsi da mega onde e dalla traslazione dei poli è l’Africa. Un mònito per come viene stremata e per come stiamo affrontando la questione immigrati? E un mondo sovraffollato e ridotto alla fame viene rappresentato nel film 2022: i sopravvissuti (R. Fleischer, 1973): la popolazione è costretta a mangiare delle gallette verdi che si scopre alla fine essere prodotte con i cadaveri. In questo modo il sistema marcio, coglie i classici due piccioni con una fava.

Una scena di Blade Runner

Arriviamo così all’anno indicato come titolo di questo testo: il 2019. Non sono usciti film che hanno nel titolo quest’anno, ma quest’anno è l’anno di un altro capolavoro della FS cinematografica: Blade Runnerdi Ridley Scott.
Il film è del 1982: in una Los Angeles superaffollata e multietnica, diventata ormai uno stereotipo della metropoli del futuro, perennemente avvolta in un paesaggio cupo e piovoso; quindi, forte inquinamento, alterazione del clima, tutti fattori che concorrono a trasmettere, allo spettatore, un forte senso d’angoscia. Un mondo invivibile, quasi una metafora di questo attuale, dove il progresso sembra regresso. Ognuno è in bàlia del destino (da ricordare il sequel: Blade Runner 2049, di D. Villeneuve, 2017), in lotta con il prossimo, costretti a sgomitare per difendere il proprio, piccolo spazio vitale, sempre più minacciato, dall’uomo stesso, dall’ambiente e dalle macchine. La fuga è l’unico rimedio; l’auto sulla quale fuggono i protagonisti sembra proprio una macchina del tempo, ma non come quella de L’uomo che visse nel futuro (G. Pal, 1960), tratto dal romanzo The time machine di H. G. Wells, il protagonista, l’attore Rod Taylor arriva fino all’anno 802.701! No, non è un numero verde tronco, è proprio l’anno visitato dal crononauta: ma, sicuramente, come canta F. Guccini «noi non ci saremo».

Note:
1. https://www.tuttoandroid.net/samsung/samsung-vs-apple-samsung-cita-una-scena-di-2001-odissea-nello-spazio-24956/
2. L. Iacobellis, Oxygen, Delos Digital, Futuro Presente 19.

Fonti:
Giovanni Mongini, La Fantascienza sugli schermi, Perseo Libri, Bologna 2002.
Gianmaria Contro, Architetti del futuro, in Nathan Never – Almanacco della Fantascienza 2008, S. Bonelli Editore, 2008.
http://www.ilsecoloxix.it/p/magazine/2019/01/06/AD4uz6YD-previsto_visionari_asimov.shtml
http://www.ilsecoloxix.it/p/magazine/2019/01/02/ADZtP3SD-fantascienza_philip_runner.shtml

Credits:
https://www.serialclick.it/telefilm/6471/space-1999
https://www.youtube.com/watch?time_continue=5&v=JQ8pQVDyaLo
https://bladerunner.fandom.com/wiki/Themes_in_Blade_Runner

Life: vita o morte?

In principio fu il mitico Alien (R. Scott, 1979) con lo xenomorfo che, in una delle scene più terrorizzanti della storia del cinema, veniva al mondo squarciando il petto del compianto John Hurt, morto solo pochi mesi fa. Life, Il thriller fantascientifico del regista svedese di origine cilena Daniel Espinosa, con sottotitolo “Non oltrepassare il limite”, ha infatti molte similitudini con il capolavoro del regista di Blade Runner.
Il film di Espinosa inizia con un magnifico piano-sequenza e, mentre il pianeta sotto dorme tranquillo, una nuova alba illumina con una vivida luce l’International Space Station.
La missione è quella di recuperare un modulo di ricerca di ritorno da Marte: «il primo modulo della storia a tornare dal pianeta». A bordo, tra gli altri reperti c’è, però, la «prima incontrovertibile prova di vita oltre la Terra». Un organismo unicellulare che risulta essere anche gradevole alla vista, ma già in grado di fornire una prima risposta, un essere con base carbonio, tutto muscoli, centri nervosi (cervello) e occhi.
Stimolato prima con ossigeno, la sua primaria fonte di nutrimento, poi con glucosio, infine con deboli scariche elettriche, l’organismo si risveglia dal suo lungo sonno e inizia a crescere, a svilupparsi, a reagire subito violentemente con i sei membri dell’equipaggio; l’alieno è resistente al vuoto cosmico, come alle alte temperature e, proprio come Alien (ma all’inizio più somigliante al facehugger), difficile da uccidere. E la stazione spaziale dapprima asettica, come la Discovery di 2001, inizia ad assomigliare sempre più alla Nostromo, il buio antro dentro cui il male risiede. Passata l’euforia della scoperta, con tutto il mondo sotto a festeggiare, l’adrenalina inizia a scorrere nelle vene dei protagonisti, ma non troppo nello spettatore abituato ed avvezzo a simili visioni (un plauso agli ottimi effetti speciali e al sinuoso design della creatura), gli astronauti cadono, di conseguenza, uno ad uno, in modalità più o meno già viste e dove lo spargimento di sangue non è da film splatter, infatti, in assenza di gravità, esso fuoriesce dal corpo della prima vittima, a piccole bolle che si spargono nella capsula. Il film ripercorre i classici stereotipi della fantascienza, ciò confermato dallo stesso regista che in un’intervista (che potete vedere qui), afferma: «Per me si tratta di rimanere fedeli alla tua anima… con questo film abbiamo avuto un’opportunità incredibile di fare qualcosa che segue le regole del genere ma allo stesso tempo fa evolvere i personaggi… e questo perchè, credo, i buoni film di fantascienza lavorano ad un livello sotterraneo e soprattutto nel conflitto tra i personaggi. La storia è il veicolo…». Infatti il film, lavora proprio in questo senso e veicola concetti che arrivano fino in fondo all’anima. E questa non è un’iperbole.
Non farò spoiler sul finale, che potrebbe sembrare scontato leggendone la sceneggiatura, ma non lo è quindi, aspettatevi il colpo di scena; quello che voglio fare è cercare di entrare, non nei meandri dell’astronave per scovare l’alieno, ma appunto, dentro noi stessi. Con le solite domande, in grado di instillare dubbi, non certezze, di sgretolare il muro della ragione, andando oltre le convenzioni, le consuetudini, che risultano essere ormai, terreno fertile per facili e sbrigative considerazioni. A partire già dal titolo. L’essere umano, ma possiamo benissimo considerare l’intera razza umana tende appunto ad “umanizzare” concetti che tali non sono. Come un ricordo atavico, ancestrale, per dormire sonni tranquilli, l’uomo riduce tutto alla condizione umana, riuscendo spesso a controvertire, il significato di idee e concetti che, invece dovrebbero stimolarlo a crescere. Di conseguenza il titolo Life è quanto meno fuorviante. Il nostro pianeta dovrebbe chiamarsi Acqua, non Terra; all’alieno, per renderlo più familiare bisogna necessariamente dargli un nome, qualunque esso sia, non ha importanza, esso non odia, siamo noi che, per paura odiamo, e Life, proprio non significa vita, ma morte perché, come afferma uno degli astronauti: «la vita è distruzione». Ed è proprio qui che viene superato il limite, attendiamo con autentico fervore il giorno in cui capiremo di non essere soli: «E se il primo contatto sarà il nostro più grande errore?».

Il Prof. Milton Wainwright e un organismo alieno

Nel film la creatura aliena arriva con un passaggio, ma se non ce ne fosse bisogno? Alcuni organismi possono vagare anche per eoni nel vuoto cosmico, prima di trovare un pianeta a loro adatto? Fantascienza a parte, in realtà è già successo? Nel 2015 il prof. Milton Wainwright, ricercatore dell’Università di Sheffield (UK), ha affermato in un’intervista che sono stati scoperti organismi alieni nella Stratosfera (a soli 30 km dalla superficie terrestre). Il film Life, si basa forse su tale scoperta? Gli organismi sono stati rilevati con l’ausilio di una sonda e risultano essere costituiti da carbonio, azoto ed ossigeno, tutti elementi che, guarda caso, sono citati ampiamente nel film e che come ormai tutti sappiamo essere i mattoni base di quella che viene considerata vita. Sebbene lo scienziato sia stato ampiamente criticato, ma c’era da aspettarselo, da tutti i suoi colleghi, lo studio venne in un primo momento anche pubblicato sul Journal of Cosmology. Il professore tentò a suo tempo di coinvolgere la Nasa per confermare le sue ricerche, ma capì che non era questa l’intenzione dell’Ente Spaziale americano che, e poteva essere altrimenti, ha occultato tutto facendo sparire i documenti relativi. Questa in sintesi la storia che potete leggere per esteso andando al link presente nelle fonti e qui si conclude anche questo post. Tornando per un attimo all’opera del regista cileno-svedese, il film mostra in pratica la fragilità del nostro pianeta, la mancanza completa di umiltà del genere umano rispetto a tali concetti e di una civiltà refrattaria, piena di contraddizioni, che vive totalmente all’oscuro di quanto accade sopra di essa.
Di questo passo il nostro destino è già segnato e ciò si evince dalla mancanza di speranza insita nell’ultimo messaggio registrato dalla comandante della missione, più o meno simile a quello lanciato da Ripley; ma preferisco chiudere con quello che dà il senso di un epitaffio scritto sulla lapide del nostro mondo, una nenia per bambini ma dal forte retrogusto amaro ed inquietante, la filastrocca che potete però ascoltare completa solo nel trailer: «Buonanotte Luna, buonanotte piuma, buonanotte mucca che salti sulla Luna, buonanotte luce sei una grande fortuna, buonanotte stelle, buonanotte aria, buonanotte suono che ogni notte varia».

Nota:
Tutte le citazioni sono tratte dal film.

Fonti:
https://www.comingsoon.it/film/life-non-oltrepassare-il-limite/53584/recensione/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/life-non-oltrepassare-il-limite-una-creatura-aliena-tutta-muscoli-e-tutta/n65285/
http://www.mymovies.it/film/2017/life/
http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/cinema/2017/03/22/life-torna-la-paura-di-alien-ed-e-2.0_af210a4f-832f-43b6-b032-c4f7177de283.html
http://www.segnidalcielo.it/organismi-alieni-scoperti-nella-stratosfera-i-documenti-vengono-occultati-dalla-nasa/

Immagine: elaborazione grafica di Giuseppe Nardoianni con frames tratti dal filmato youtube.