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Leone per Agnello

Con la “A” rigorosamente in maiuscolo, come vedremo dopo. Gli appassionati di cinema però, credo che abbiano capito la parafrasi del titolo che richiama al film “Leoni per agnelli”, al plurale e con la “a” minuscola ad indicare, in questo caso, il grazioso animaletto, ma che identifica, nel film un concetto ben preciso. Il film, di cui scrissi la recensione sulla rivista X-Times, è del 2007, diretto e interpretato da Robert Redford, nelle vesti di un professore universitario, da Meryl Streep nei panni di una giornalista che intervista un inedito Tom Cruise, lontano dalle Mission Impossible, qui dietro la scrivania di un giovane senatore. Redford, non lascia spazio alle interpretazioni, anche se i dialoghi sono l’asse portante del film e mette tutto sotto gli occhi dello spettatore che, tra le scene in interni (l’ufficio del professore a confronto con un tenace studente e l’ufficio del senatore), e gli esterni (le scene drammatiche di guerra), ha tutti gli elementi per capire il fine stesso della trama che, banalmente potrebbe portare, chi non è profondo conoscitore di certe nozioni, a semplificare con un «vabbè, ma queste cose si sanno». Non è così. Infatti, il film anche se lascia l’amaro in bocca per come, in realtà vanno certe cose, fa capire che potrebbe essere rimasto un briciolo di speranza, ma gioca sull’ambivalenza e quindi sull’interscambio dei due concetti: i leoni diventano agnelli e se ne stanno in disparte, sono le volpi che mandano gli altri allo sterminio, le iene che ridacchiano vedendoli morire e per la riuscita dei loro, sadici, piani; gli agnelli invece diventano leoni, e sono quelli che hanno il coraggio di agire, di non starsene con le mani in mano e che cercano di migliorare le cose. Ora, l’Agnello di Dio (Agnus Dei), è un’espressione evangelica (Giovanni 1, 29-36) riferita al Cristo che rappresenta la vittima sacrificale per la redenzione dei peccati dell’umanità. Mentre il significato del nome “Leone”, in latino, è riferito al felino simbolo di «fierezza, coraggio e nobiltà»: questo il nome scelto dall’agostiniano Papa Leone XIV, missionario e studioso, ma non quanto il suo predecessore Papa Francesco (di cui ho scritto in passato, v. link alla fine del post), gesuita, -i gestori della Specola Vaticana. Rudolf Steiner, uno dei più famosi studiosi alternativi del secolo scorso, e per questo definito uno pseudo scienziato, disse : «I Gesuiti sono l’unica organizzazione occidentale che dispone di poteri occulti, in confronto le società segrete sono semplici boy scout»(1). Papa Leone XIV ha scelto questo nome anche perché l’antesignano (Papa Leone XIII) fu l’autore dell’Enciclica Rerum Novarum (= “Di Cose Nuove”, 1891), quindi i due “Leone” sono accumunati dal fatto che entrambi si sono prefissati di «perseguire un mutamento nell’impostazione del papato rispetto al proprio predecessore»(2), nel caso di Leone XIII fu Pio IX. L’Enciclica rappresentò «una svolta nella Chiesa Cattolica, ormai pronta ad affrontare le sfide della modernità come guida spirituale internazionale (omissis) e formulò quindi i fondamenti della moderna dottrina sociale della Chiesa»(3). Quindi la domanda è: Papa Leone, sarà in nomem omen, un vero Re Leone, oppure anch’egli un agnello sacrificabile? Forse no ma, escludendo ciò che dice la catechesi, l’importante è che appunto, non interscambi le due posizioni. Nella Messa d’Insediamento del 18 maggio scorso, nell’Omelia, S.S. con profonda umiltà, ma con un elevato senso di consapevolezza, ha parlato di pace, di unità, del «molti diventare uno», concetto fantascientifico e non solo perché è l’asse portante del film Arrival (D. Villeneuve, 2016), perché guarda all’umanità intera, -e quindi vedremo se sarà in grado quantomeno di far tremare i potenti della Terra che aborriscono tale ipotesi. Tesi che, tutto sommato, sono state espresse anche da Papa Francesco il quale, a proposito della Pace, ribadiva spesso che alla base della guerra (la Terza Guerra Mondiale «a pezzi»), guardando direttamente alla causa, non all’effetto, c’è la produzione e il commercio delle armi. Ma Leone XIV sta già seminando nel solco lasciato da S.S. Bergoglio, infatti nella fase cruciale del discorso, ha parlato veramente “di cose nuove” per un Pontefice: il «paradigma economico», che Egli ha toccato con mano quale missionario in America Latina -che purtroppo rimarrà tale finché vigerà il sistema basato sul profitto (nda), mettendo infine al bando tutte le propagande che possono in qualche modo nuocere all’uomo, religione compresa! «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Apocalisse 21, 5), Papa Francesco che, lo ricordiamo, ordinò cardinale Robert Francis Prevost «il cardinale che può fare la storia»(4), due anni fa, logicamente nella sua umiltà non avrebbe mai potuto assolvere al compito come Cristo; ci ha provato, questo sì, ma alla fine non dico che ha deluso, ma sicuramente ha scontentato un po’ tutti: i conservatori perché ha innovato, almeno teoricamente, e gli innovatori perchè avrebbe potuto fare molto di più. Oltre a cambiare la Chiesa, poteva cambiare il mondo, dimostrando che niente è immutabile e sovvertire quel paradigma che adesso è nei piani di Papa Leone, ma che non cambia da 2000 anni e più, fatta eccezione per il passaggio dalla visione Tolemaica (in linea con i dettami del Vaticano e della Bibbia: l’uomo e la Terra al centro della Creazione e dell’Universo), alla visione Copernicana: l’umanità e il nostro pianeta sono soltanto uno dei tanti, come sosteneva Giordano Bruno, tesi che come sappiamo gli costò il rogo. Francesco indiscutibilmente poteva lasciare un’impronta indelebile su questo nostro, martoriato pianeta, solo due le ragioni: o non ha voluto andare fino in fondo, e questo umanamente, è accettabile, oppure ancora una volta non glielo hanno lasciato fare e io «voglio credere» (X-Files) a questa seconda ipotesi.

 

Note:

1.In Andrea Franco, “Chi ha avvelenato Rudolf Steiner?”, Uno Editori, 2014.

2.https://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Leone_XIII

3.idem.

4.https://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/dalladdio-a-francesco-al-nuovo-papa/2025/05/08/chi-e-il-nuovo-papa.-robert-francis-prevost-bergogliano-moderato-per-una_d19d68d3-f45f-423e-9a7a-a6c31a93d1f6.html

Altre Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Agnus_Dei

https://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/dalladdio-a-francesco-al-nuovo-papa/2025/05/08/la-scelta-del-nome-leone-xiv-lomaggio-al-papa-lavoratore-della-rerum_d3b53507-f42d-400a-a3a5-c9fd3012fcda.html

https://www.mymovies.it/film/2007/leoni-per-agnelli/

https://www.pampers.it/gravidanza/libro-dei-nomi/nomi-bimbo/leone

https://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Leone_XIV

Immagini tratte da:

https://www.mymovies.it/film/2007/leoni-per-agnelli/poster/0/

https://torinocronaca.it/news/attualita/512891/ucraina-apertura-ai-negoziati-papa-leone-xiv-offre-il-vaticano-per-un-dialogo-di-pace-storico-con-la-premier-meloni.htm

Post su Papa Francesco (in ordine cronologico):

Il Global Warning e il Rispetto per il Creato

Il Global Warning e il Rispetto per il Creato P.2

Un titolo profetico?

Dune: messaggi dal profondo

Dune. Nessun altro termine, forse, tra i tanti proposti dalla fantascienza o dalla semplice avventura è più esotico, evocativo, discordante, a tal punto da portare la mente, sopraffatta dalle immense distese sabbiose ad estraniarsi, ma anche a immergersi dentro sé stessa: in definitiva sono proprio i concetti cardine che reggono il film. L’opera terza, fantascientificamente parlando, di Denis Villeneuve, che ormai sembra avviato verso un successo planetario avendo già in curriculum opere come Arrival (2016, qui la mia recensione) e il remake Blade Runner 2049 (2017): il film è «una travolgente sinfonia di spettacolo, suoni e narrazione. Un’odissea cinematografica che è tanto viscerale quanto epica»(1).
La sceneggiatura è tratta dal romanzo omonimo di Frank P. Herbert, che con il suo Ciclo, «affronta temi complessi cari allo scrittore come la sopravvivenza umana, l’evoluzione, l’ecologia e la commistione di religione, politica e potere»(2). Una delle migliori opere di fantascienza mai scritte, tanto popolare, da essere, secondo me, paragonata, non senza sfigurare, ad altri capisaldi della FS, primo tra tutti, il Ciclo della Fondazione di I. Asimov, mentre dal punto di vista cinematografico, si pone tra le due saghe che sono la storia stessa della Science Fiction: Star Wars, per l’impronta fantasy, e Star Trek.
Il romanzo, pubblicato in due parti, tra il 1963 e il 1965 (il regista Villeneuve ha firmato anche per un sequel), narra di una lotta tra la dinastia Atreides e gli Harkonnen, la cui civiltà bellicosa ricorda un po’ quella dei Necromonger del film Riddick (D. Twohy, 2004), l’oggetto di discussione è lo sfruttamento di una rara e preziosa spezia (Melange) che si trova solo sul pianeta Arrakis, conosciuto anche come… Dune.
Il regista canadese, non è il solo ad esserci cimentato con questa monumentale opera, già dopo vent’anni dall’uscita del libro, ci furono diversi tentativi, il primo che aveva tutta l’intenzione di essere un vero kolossal, ma che rimase tale solo sulla carta, avrebbe dovuto aver la firma di A. Jodorowsky(3), artista eclettico, che cercò di coinvolgere maestri del calibro di Moebius (scenografie e costumi per Blade Runner), HR Giger (Alien) e persino Salvador Dalì e Orson Welles. Ma fu Dino De Laurentiis a offrire la regia a un giovanissimo David Lynch che realizzò il film nel 1984. Purtroppo il film fu un mezzo fallimento sia di critica che di pubblico, a fronte di un budget per quei tempi stellare (40 milioni di dollari).
Il Dune di Villeneuve è di più ampio respiro, anche se si nota la stridente differenza tra le scenografie e l’ambientazione interna dove traspare un’atmosfera cupa, di tipo monastico, ma spigolosa, tetra, dove a farla da padrona sono le ombre, le luci quasi assenti, il simbolismo in ogni singolo oggetto, dalle pareti, alle suppellettili, ai monili e alle armi.

I due protagonisti su Dune

Una fotografia intensa, che per le scene esterne, desertiche, spoglie, ricorda a tratti quella fantastica ammirata in Blade Runner 2049, un giusto mix quindi tra effetti speciali visivi e quelli in post produzione, con panoramiche immense, sovrastate da enormi astronavi che sembrano come fatte di roccia, cubiche, in antitesi con le forme-pensiero di Arrival. In quel caso, il regista riuscì ad imbastire una trama speculativa (la fantascienza che implica la riflessione, la concettualità alla realtà), qui non è da meno e come detto oltre al rapporto tra l’uomo e la Natura (con la ENNE maiuscola), nella FS spesso ostile, c’è il rapporto interiore che sembra a volte urlare, appunto inascoltato, come in un deserto: «Il mistero della vita non è un enigma da risolvere, ma una realtà da sperimentare». Il giovane Paul Atreides, rispecchia appieno questo dualismo, allevato come guerriero dal padre Duca, ma dalla madre, una sacerdotessa, ad interrogarsi sempre su quale sia il senso della vita, fino a diventare una sorta di profeta per i Fremen che abitano Dune: «Conoscerà i vostri usi come se fosse nato tra voi».
Non solo, ma «Come sabbia in un setaccio, noi setacciamo la gente», solo così si ottiene il potere del cielo e del mare, sul pianeta natale, il potere del deserto, su Arrakis. Quindi alla fine, qual’è il messaggio profondo? Da dove arriva, dalle profondità del cosmo, da Dune, oppure… il pianeta deserto è metafora dell’animo umano, un posto arido, desolato, senza vita, quasi senza un futuro, con tutti i suoi mostri (i giganteschi vermi che vivono sottoterra), nel suo subconscio e non basterà nessuna sostanza allucinogena ad evitare l’autodistruzione perchè: «Quando togli una vita la togli a te stesso».

 

Nota dell’autore:
Dove non specificato le citazioni sono tratte dal film

Note:
1. https://www.fantascienza.com/27190/dune-le-prime-reazioni-dal-festival-di-venezia
2. https://it.wikipedia.org/wiki/Frank_Herbert – Raccolte_di_racconti
3. https://www.fantascienza.com/27176/arriva-nei-cinema-il-documentario-sul-dune-di-jodorowsky

Altre fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Dune_(romanzo)
https://it.wikipedia.org/wiki/Dune_(film_1984)
https://it.wikipedia.org/wiki/Dune_(film_2021)
https://www.mymovies.it/film/1984/dune/
https://www.mymovies.it/film/2021/dune/pubblico/?id=1670582
https://www.mymovies.it/film/2021/dune/
https://www.fantascienza.com/27226/dune-e-arrivato
https://www.fantascienza.com/27221/dune-l-uscita-su-hbo-max-puo-condizionare-la-realizzazione-della-seconda-parte
https://www.fantascienza.com/27220/dune-la-featurette-sulle-casate-reali
https://www.comingsoon.it/film/dune/55957/recensione/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/dune-denis-villeneuve-prende-le-distanze-dallo-stile-marvel/n128743/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/dune-la-spiegazione-della-trama-e-dei-personaggi-in-un-video-ufficiale/n128698/
https://www.comingsoon.it/cinema/news/dune-il-nuovo-film-di-denis-villeneuve-e-al-cinema-ecco-dove-vederlo/n128682/

credit:
www.mymovies.it

Il velo della discordia

il velo delle suore e l’Hijab islamico

Pochi giorni fa, a Bologna una ragazza di 14 anni, originaria del Bangladesh, dopo aver rifiutato il velo, è stata completamente rasata a zero, dai suoi familiari. La preside della scuola frequentata dalla ragazzina, ha avvertito i carabinieri e la Procura, ha tolto la ragazza alla famiglia. La notizia, ha creato immancabilmente sdegno tra la popolazione italiota, condannando come sempre più spesso accade la famiglia musulmana, la tradizione islamica, il velo, come simbolo di sottomissione della donna. E a proposito di simboli, a metà marzo scorso, una sentenza(1) della Corte di Giustizia Europea ha stabilito che non è discriminatorio proibire di indossare visibilmente, sul lavoro, simboli religiosi, ma anche politici e filosofici.
In pratica in Francia e in Belgio, donne musulmane sono state licenziate perché si sono rifiutare di togliersi il velo durante l’orario di lavoro. Quelli descritti non sono semplici fatti di cronaca, i media, come al solito hanno amplificato il tutto, con un rumore talmente assordante da confondere ancor di più le idee e le opinioni di una massa sempre più costretta a subire quanto gli viene rifilato, a volte senza cognizione di causa, purtroppo. Ma andiamo con ordine. Per quanto riguarda la storia della ragazza di Bologna, rasata a zero, si è detto quasi di tutto, addirittura accostando questa alla ben più tragica storia di Hina Saleem: come molti ricorderanno la ragazza pakistana, nel 2006, fu uccisa dal padre, dallo zio e da alcuni altri familiari, infliggendole venti coltellate, sgozzata ed infine sepolta nel giardino di casa, in provincia di Brescia. Onestamente a me sembra che tra le due storie, non sia possibile nessun tipo di paragone. Ma ciò, come vedremo, fa parte del gioco. Gioco che immancabilmente ha coinvolto, vari esperti che hanno detto tutto e il contrario di tutto senza dare una logica visione e, anzi, sostenendo che la religione, in questi casi non c’entra niente. Paradossalmente potrebbe essere anche vero, ma vero è anche il contrario perché quello che si vuol colpire, secondo me, sono appunto i vari credi religiosi. Ciò si evince  soprattutto da quanto stabilito dalla Corte di Giustizia europea che, non ha parlato espressamente di velo, come unico oggetto della discordia, ma di simboli, simboli religiosi in generale, compresi quindi anche quelli cristiani e conosciamo tutti i dibattiti parlamentari sul crocefisso. E se ci aggiungiamo anche i simboli politici (che non interessano minimamente a chi scrive) e i simboli filosofici, se ne conviene che l’intento della Corte di Giustizia è ben altro, eliminare tutto ciò che può essere segno di distinzione, di libera espressione, cercando così di appiattire, distruggendo le diversità, il comportamento e il pensiero umano, con tanti saluti alla tanto cara democrazia. Ma torniamo per un attimo al pomo della discordia.
Erroneamente si pensa che il velo (hijab), che circoscrive il volto, appartenga esclusivamente all’Islam, ma nella relativa pagina di wikipedia si legge che: «esiste in realtà ben prima di esso. Una legge del XII secolo a.C. nella Mesopotamia assira sotto il regno del sovrano Tiglatpileser I, rendeva di già obbligatorio portare il velo all’esterno a ogni donna sposata». Poi è arrivata la religione islamica e il Corano e quindi ci si riferisce a questo particolare tipo di abbigliamento femminile, che serve a coprire in maniera minima il volto della donna secondo quanto appunto sancito dalla giurisprudenza islamica. Il mondo occidentale ha da sempre stigmatizzato tale pratica, che assume toni aspri quando si prendono in considerazioni altri abbigliamenti femminili islamici, come ad esempio il famigerato burqa. Entrare ora nel merito della questione, descrivendo i vari tipi di veli, il giusto o non giusto, l’atteggiamento integralista dei musulmani, i motivi di sicurezza che, forse giustamente, ne dovrebbero limitare l’uso, è, secondo me, questione di lana caprina che non troverà facile soluzione, a meno che, non facciamo tutti un salutare bagno di umiltà e, come abbiamo fatto riferimento poco sopra a cenni storici, è opportuno leggere dal libro che è alla base della civiltà occidentale e che viene considerato Sacro da quasi un miliardo e mezzo di persone: la Bibbia. Senza ossessioni fideistiche e con mente aperta e coscienza serena leggiamo ciò che c’è scritto nella Prima Lettera ai Corinzi:

  • Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo.  Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra(11-3,6).

A scrivere, come tutti sappiamo è San Paolo che gli studiosi considerano il vero fondatore (secondo altri inventore), del Cristianesimo, quindi voce autorevole in questo caso e sì, avete letto bene, da questi pochi versetti si evincono due concetti fondamentali il primo è che ogni donna, quindi anche chi professa la fede cattolica, dovrebbe mettersi il velo, così come facevano le nostre nonne, se ricordate. Ma San Paolo, lascia comunque un’altra scelta chi non vuole mettersi il velo, si tagli i capelli!, così come hanno fatto i genitori della ragazza 14enne! Chiaro e semplice. Continuando si legge:

  • L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli(11-7,10).

Tralasciando ciò che il santo scrive della creazione e tutto ciò che ne può derivare dal punto di vista etico, sociale, ecc. il vero motivo del fatto che le donne devono coprirsi il viso, San Paolo ce lo dice alla fine del versetto 10: le donne devono necessariamente coprirsi il capo a motivo degli angeli. E qui ci sarebbe molto da dire sul VERO motivo per cui, a loro tutela, le donne dovrebbero coprirsi il capo. Se spiegassi ora tale frase, commetterei un grossolano errore perché non tutti hanno le conoscenze per capire ciò, per accettarlo e per comprenderlo per quello che significa veramente. Ma come sempre offro al lettore più aperto a certi concetti (che per altri sono incredibili o addirittura sconvolgenti), la possibilità, ma stavolta a loro rischio e pericolo, di approfondire quanto scritto sopra. Forse il velo ce l’abbiamo tutti noi davanti agli occhi, quel velo, costituito dall’ignoranza, che c’impedisce di vedere le cose come sono in realtà. E la realtà è molto cruda e nuda ma si nasconde subdola nella sentenza della Corte di Giustizia: il verbo del Nuovo Ordine Mondiale.

Note:
1. https://www.avvenire.it/mondo/pagine/la-corte-europea-l-azienda-puo-vietare-il-velo-islamico

Quando gli Déi…

Non sono mai stato un acceso simpatizzante dei supereroi, specie quelli in costume, in pratica tutta la categoria delle famose case americane di fumetti che hanno avuto l’onore della trasposizione cinematografica, a volte con sorprendenti successi e, oltre ad incassi favolosi, anche un buon riconoscimento dalla critica come ad esempio gli ultimi due Batman: Batman Begins (C. Nolan, 2005) e Il Cavaliere Oscuro (C. Nolan, 2008) quest’ultimo con la struggente, per così dire, interpretazione dell’antagonista Jocker affidata al compianto Heath Ledger, addirittura in odore di Oscar postumo.
Da appassionato di fantascienza (e mi è sembrato giusto aprire in questo modo la sezione), non credo che nella realtà tutto questo potrebbe funzionare, ci sono in giro già troppe maschere, inoltre sarebbe cosa più vicina alla fantasia, quella vera, e gli eroi dovrebbero mestamente ritirarsi a vita privata e come qualcuno ha detto: «se ne starebbero seduti sul divano in t-shirt e ciabatte, con una birra in mano a guardare la tv…».
Ultimamente però, il cinema sta proponendo tutta una serie di super-anti-eroi, dotati di particolari superpoteri che, in un certo senso, sembrano funzionare più degli altri. Senza andare troppo indietro nel tempo (Unbreakable di M. N. Shyamalan è del 2000), proprio quest’anno sono usciti due film con protagonisti super eroi per così dire diversi.
Anche se hanno sempre un passato oscuro e il loro tormento è figlio di precedenti catastrofi personali, essi, lungo il dipanarsi della vicenda riescono a riscattarsi solo in parte e sono costretti anche dopo la consacrazione da parte dei cittadini, addirittura a restare nascosti o fuggire per salvare chi gli sta più a cuore.
È il caso di Jumper (D. Liman) dove il protagonista, capace di teletrasportarsi in ogni luogo della Terra solo con la forza del pensiero, riuscendo così nella stessa giornata a fare colazione sulla testa della sfinge ed a surfare alle isole Fiji, è braccato da una sorta di confraternita segreta, i Paladini, che danno la caccia ai Saltatori da millenni: ladro di banche, per permettersi una vita agiata, scoprirà che dovrà difendersi anche dalla donna che lo ha messo al mondo, cosa che gli verrà rivelata dalla madre stessa (Paladina anche lei) che fu costretta a lasciarlo in tenera età, per non ucciderlo.
In Hancock (P. Berg) con un sempre bravo Will Smith, la situazione è un po’ diversa: dedito all’alcool ed a combinare troppi guai rispetto a quanto direttamente o indirettamente richiesto per salvare il malcapitato di turno, è costretto, suo malgrado, a rinunciare alla donna che ama per salvare la vita ad entrambi in uno dei finali più drammatici e sorprendenti; inaspettati in un’opera che dovrebbe rilassare più che interrogare lo spettatore.
Ed è questo il punto ed il nocciolo della questione. Vi starete chiedendo, ma tutto questo cosa centra con il conoscere per credere?
È presto detto. Anche se strutturalmente i film con i super eroi (in calzamaglia o meno) sono sostanzialmente simili, dal misconoscimento iniziale fino all’esaltazione finale, dove l’uso degli effetti speciali e della computer grafica, sebbene sempre più spinta verso orizzonti inesplorati, riesce ad essere parte integrante della trama, è proprio in essa e nei concetti palesemente o velatamente espressi che si nota la differenza con i film del recente passato.
Come abbiamo visto, in Jumper si parla di teletrasporto, addirittura senza l’uso di fantascientifici macchinari, ma anche di concetti espressi con termini più scientifici come portali dimensionali e wormhole da alcuni anni oggetto di studio da parte di numerosi scienziati che, nella finzione scenica, spingono al massimo i loro esperimenti come succede in X-Files I want to believe (C. Carter, 2008), e ancora confraternite segrete, segreti strenuamente nascosti e difesi, antiche leggende che fanno da filo conduttore con Hancock dove la magia cammina di pari passo con la scienza e la religione (cfr. Malanga pensiero).
Quindi testi sacri, Bibbia compresa, ma anche immortalità ed esperimenti forse eseguiti in un lontanissimo passato, ormai dimenticato, «quando gli dei camminavano sulla Terra»(http://alieniemisteri.altervista.org/ufo_nella_bibbia.htm).
Tutto ciò, e chiudo, porta alla morale finale e alla classica domanda che è la molla che spinge i ricercatori di frontiera ad andare avanti, domanda che è il bagaglio di chi con intelligenza viene, al cospetto di tali concetti, assalito dal dubbio, domanda, infine, già espressa da molti in vari modi: «se tutte queste cose non esistono, saremmo, solo con l’uso della creatività, veramente in grado di descriverle?».

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