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The Swarm -Il Quinto Giorno

Nel film La Guerra dei Mondi, l’originale (The War of the Worlds, B. Haskin, 1953), tratto dall’omonimo romanzo di H. G. Wells (1898), considerato il primo romanzo di fantascienza e dove si narra della prima invasione al nostro pianeta, la protagonista Ann Robinson (che apparirà insieme all’altro protagonista Gene Barry, in un cameo nel riuscito remake di Spielberg del 2005), all’affermazione del generale che, dopo l’attacco la Terra verrebbe distrutta dopo soli sei giorni, ella risponde con: «lo stesso tempo che ci è voluto per crearla…».Ovvio quindi fare riferimento alla Bibbia e, in particolare, alla Genesi(1) che nei primi versi spiega, quasi dettagliatamente il succedersi dei giorni -di seguito riportati in sintesi, e dell’opera di Dio. Primo Giorno: Dio crea il cielo e la Terra, poi la luce che chiamò giorno e le tenebre notte. Secondo Giorno: Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento (cielo). Terzo giorno: Dio chiamò l’asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Poi fece crescere germogli, semi e alberi da frutto. Quarto Giorno: Dio fece le due fonti di luce, cioè il sole per il giorno e la luna per la notte e le stelle. Se il Sesto Giorno, è incentrato sulla creazione dell’uomo e sull’annosa questione dell’uso del plurale (“facciamo”) e il Settimo Giorno si riposò, cosa è successo nel Quinto Giorno?

Nel quinto giorno, oltre agli uccelli, Dio creò tutte le creature acquatiche, ma anche i mostri marini. Ecco quindi, il perché del titolo della serie tv The Swarm – Il Quinto Giorno, una produzione internazionale, che vede coinvolte diverse emittenti, tra cui anche Rai Fiction e dove nel cast l’attrice di spicco è Barbara Sukova che interpreta la prof.ssa K. Lehmann. La sceneggiatura invece è tratta dal romanzo di Franck Schätzing (Der Schwarm, 2005), gli autori si sono avvalsi della consulenza di due esperti, la prof.ssa A. Boetius ricercatrice polare e in acque profonde e del dott. J. Copley, professore di esplorazione oceanica presso l’Università di Southampton.

Le prime otto puntate (la prima stagione), sono dirette da: B. Eder, L. Watson e P. Stölzl, disponibili su Rai Play. Titolo affascinante, quindi, ma per capirne bene trama e contenuti, dobbiamo necessariamente partire da un personale assunto: Ci è stato fatto credere, per giustificare la “corsa allo spazio”, che ormai abbiamo esplorato tutto il pianeta Terra. [Corsa allo spazio, che per il momento, non è andata oltre qualche sporadico “allunaggio” sul nostro satellite e all’aver lanciato sonde verso gli altri pianeti, in particolare Marte, e che alcune di queste viaggiano da anni nell’abisso dell’ignoto]. Ma la verità è che, così come non conosciamo bene la faccia nascosta della Luna (dicono che sia poco interessante!), non conosciamo ancora “a fondo”, i due terzi de “l’altra faccia del pianeta Terra”: il Mare, appunto. Ed è proprio da lì, come avrete capito, che arriva la minaccia. Crisi ambientali a parte, in tutto il mondo iniziano ad evidenziarsi «strani fenomeni»(2). E se non si è preparati, gli attacchi sono a dir poco sorprendenti(3). Tutte le creature acquatiche, di colpo sembrano trasformarsi in vere e proprie armi: prima i cetacei (balene e orche, da non perdere il primo attacco di una Megattera), poi crostacei (astici e granchi), fino ai “vermi del ghiaccio” e ai mitili (vongole), addirittura evoluti in una nuova specie, portatori di in batterio che potrebbe rivelarsi pandemico. Quando la scienza si trova impreparata (per ovvi motivi, ma in questo caso propensa a nuove ipotesi), quando il divino non basta, se non a ricordare le famose “piaghe” bibliche, è proprio da un’astrofisica -questo il perché dell’assunto di cui sopra, che entra per caso nel discorso, ma poi si unirà al team di ricerca, che indica la possibilità di una terza via.

L’enigmatico simbolo dei nativi americani dal quale è tratta la parola “Y R R”

Un’intelligenza altra, ma per il momento non definita come aliena, al quale viene dato il nome di “YRR” (v. Foto), che potrebbe vivere nascosta negli abissi da centinaia di milioni di anni, fin dai tempi in cui c’era un solo continente (Pangea) e gli oceani erano una sola grande massa d’acqua, la “Panthalassa” (Paleozoico, 250 milioni di anni fa). Più o meno lo stesso concetto che è alla base del film Mission to Mars (B. De Palma, 2000), in quel caso si parlava di DNA alieno che, inviato sulla Terra, nella stessa Era, si sarebbe poi evoluto in DNA umano. Qui, si parla di organismi monocellulari che però hanno l’incredibile capacità di trasformarsi, combinandosi in un organismo, pluricellulare, complesso. Anche se quindi ne condividiamo il passato, dalle immagini si evince che la serie deve molto al cult di J. Cameron, The Abyss (1989), anche per la presenza della famosa onda. Nel film del regista di Terminator e Avatar, era un’intelligenza altamente evoluta, in possesso di una tecnologia che noi ancora oggi siamo ben lungi da realizzare. I ricercatori, in grado di dare una risposta, tra molte ipotesi, hanno diverse idee, ma lo stesso fine di trovare un modo per comunicare, un linguaggio idoneo: «un territorio ancora inesplorato», ma che la FS, ha ampiamente tracciato in diverse opere. L’Alterazione chimica-biologica, è un «qualcosa che ha trasformato i mari in un’arma contro di noi», ma se non c’è una spiegazione plausibile, bisogna necessariamente mettere in discussione le nostre conoscenze, al di là dei danni causati dalla componente antropica. Comunque una strada molto pericolosa, perché non riuscire a trovare la verità nella scienza come la comprendiamo, abbattere le fondamenta sulle quali poggia l’attuale paradigma, potrebbe scatenare un enorme sconvolgimento nella psiche umana. L’Ultimatum alla Terra è lanciato, non sappiamo quando verrà il giorno, a noi resta, per il momento, la possibilità di ammirare una serie che, con un rinnovato linguaggio cine-televisivo, un montaggio dinamico e un’ottima fotografia, si lascia vedere, dal primo all’ultimo degli episodi (volutamente senza titoli, se non la progressione numerica), però tutta di un fiato o se preferite… in apnea.

Note e fonti:

1. Genesi, Cap. 1, Vers. 1-31.

2. https://www.fantascienza.com/29482/il-quinto-giorno-arriva-sul-piccolo-schermo

3. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/The_Swarm_-_Il_quinto_giorno

Credits:

In foto elaborazione grafica di Giuseppe Nardoianni

Marte

È disponibile in rete, qui, la mia ultima intervista condotta dall’amico Roberto La Paglia, sul suo canale youtube Frontiere Proibite. Mai termine è stato più azzeccato di proibito, infatti oltre al famoso cult Forbidden Planet (Fred M. Wilcox, 1956), attualmente Marte, nel senso di frontiera è l’ultima, ma anche nuova frontiera spaziale; proibita perché dopo 44 missioni, miliardi di dollari spesi, non si è ancora riusciti a cavare il cosiddetto ragno dal buco, cioè la ricerca di vita aliena, passata o presente, almeno a livello batterico, sul quarto pianeta. Missioni, peraltro per i due terzi fallite, anche per errori banali, tipo l’equivalenze sbagliate, hanno portato finora, in via ufficiale, ad ammartare, soltanto, orbiter, lander, rover e addirittura droni, come per quanto riguarda la Perseverance, lì da poco. Un viaggio quindi tra scienza, fantascienza e cover up, sì perché secondo alcune fonti, chiaramente non confermate, l’uomo ha già messo piede, oltre che sul suolo lunare, anche su Marte, con il Progetto Pegasus, che schierava tra gli astronauti, i Dieci Titani,  anche, incredibilmente, il giovane, futuro presidente Barak Obama, grazie all’ausilio della flotta spaziale, tipo Star Trek, dal suggestivo nome di Solar Warden. Ultima annotazione, seconda ciliegina sulla torta (la prima la troverete nell’intervista) -vuoi vedere che la tanto strombazzata notizia, che notizia non sarebbe per gli addetti ai lavori, della scoperta di vita sul quarto pianeta dal sole, non serva ad altro se non a distrarre l’umanità da problemi molto più gravi e pressanti?..

La civiltà perduta o la perduta civiltà?

Il biopic di James Gray La civiltà perduta (The Lost City of Z, tit. orig.) è tratto dall’omonimo libro di David Grann che narra la vicenda di Percy Harrison Fawcett (1867-1925 o in seguito); militare eroe di guerra, avventuriero, cartografo e poi esploratore a tempo pieno, era molto popolare a quei tempi tanto che il suo amico Sir Henry R. Haggard autore de Le miniere di re Salomone, si ispirò proprio a lui per ideare il personaggio di Allan Quatermain. Dal diario dell’esploratore: «Chi capirà che non cerco gloria né denaro; che faccio tutto questo nella speranza che il vantaggio che ne potrà risultare per l’umanità giustifichi il tempo speso nella ricerca?»(1). Sebbene nel film il personaggio di Fawcett, interpretato dall’attore C. Hunnam (ma il ruolo sarebbe toccato a Brad Pitt, se questi non avesse rifiutato, per dedicarsi solo alla produzione), sia ben illustrato, non sembra abbastanza incisivo. Gli incipit di presentazione nei trailers parlano di curiosità, di scoperta e di ossessione, ma è nella frase della medium -che ricorda fin troppo da vicino, Madame Blawatsky(2), conosciuta sul fronte francese nella Grande Guerra, dove possiamo capire i vari nodi che caratterizzarono una personalità, a volte forse, fin troppo eccentrica nella visione del mondo, ma instancabile, perché «Ciò che cerchi, è infinitamente più grande, di quello che la tua mente può arrivare a comprendere, è il tuo destino». Cosa rende grandi alcune persone? Cosa ha spinto i grandi esploratori a compiere i loro viaggi, a volte verso l’ignoto? Percy Fawcett infatti, aveva quel sense of wonder, il senso del meraviglioso, del fantastico che è caratteristica di chi ha la mente aperta e rivolta verso il futuro. Bastarono, infatti, poche parole dell’indio che gli fece da guida nella sua prima spedizione, pochi cocci di terracotta, un masso e un albero incisi, per mettere in moto tutto il complicato meccanismo che spinse l’esploratore a tornare più volte in Amazzonia, presso la Serra do Roncador, nel Mato Grosso dove trovò forse la morte, insieme al primogenito Jack, nell’ormai lontano 1925, appunto nell’ossessiva ricerca della mitica Civiltà Zeta, la Cuidade Encantada, per altri meglio nota come El Dorado. Qui è d’obbligo fermarsi un attimo per capire più da vicino come nacque il mito della leggendaria città d’oro. L’El Dorado (abbrev. spagnola di El Indio Dorado) è un luogo leggendario in cui vi sarebbero immense quantità di oro e pietre preziose, oltre a conoscenze esoteriche antichissime, questo secondo la definizione data da Wikipedia. Mentre per Alfredo Castelli, curatore dell’Enciclopedia dei Misteri (v. note e fonti) l’Eldorado, era, in realtà, un rito propiziatorio, «una suggestiva cerimonia che, effettivamente, implicava il sacrificio di una certa ricchezza, e che tuttavia non giustificava gli incredibili sforzi e l’enorme spargimento di sangue che riuscì a scatenare nel giro di pochi decenni». Il rito aveva anche una valenza simbolico-esoterica: «l’uomo sfruttando correttamente le forze della natura, può passare dallo stadio primitivo a quello di essere superiore»(3).
Per simboleggiare tale passaggio il grande sacerdote, lo Zipa, veniva ricoperto con polvere d’oro e quando il sole raggiungeva lo zenit, si immergeva nel lago, mentre gli altri indigeni gettavano oggetti votivi, anche d’oro, nelle sue acque. Ma come spesso è accaduto nella storia dell’uomo, la leggenda cominciò ad ingigantirsi a partire dal 1520 a causa del Conquistador Hernan Cortèz. «Centinaia e centinaia di Indios furono torturati e uccisi perché rivelassero ciò che non sapevano; centinaia di conquistadores persero invano la vita nella foresta o sugli impervi sentieri andini. E il sogno dell’Eldorado continua in tempi recenti»(4).

Percy Fawcett

Il colonnello Percy H. Fawcett, a differenza dei conquistadores non era spinto da una bramosia di oro e fama e questo lo si capisce nella disputa che dovette affrontare (varie volte tra l’altro), alla presenza di tutti gli affiliati della Royal Geographical Society, tra i principali finanziatori delle prime due spedizioni (la terza e ultima fu finanziata anche da uomini d’affari americani oltra all’immancabile famiglia Rockfeller). Spoiler: Fawcett dovette sudare le classiche sette camicie, per controbattere chi si opponeva ritenendo esigue le prove ed eccessivo il costo, egli, infatti, sosteneva che la scoperta avrebbe permesso di compiere alla nostra, perduta, civiltà, arrogante e spregiudicata (sono quasi le sue parole), un decisivo passo in avanti. Al di là delle scaramucce verbali, delle battute in classico stile british humor, quello che colpisce della sequenza, delineata in maniera egregia dal regista con repentini cambi d’inquadratura, veloci primi piani, in quella che sembra davvero un’aula di tribunale per soli uomini, con le donne relegate in galleria, perché in epoca edoardiana esse avevano un ruolo ancora di secondo piano, è proprio l’intensità dello scontro. Inoltre la scena, ricorda molto da vicino il film Processo alla scimmia (D. Greene, 1988), tratto da una storia vera, in cui si dibatte logicamente dell’evoluzione umana. Proprio agli inizi del secolo scorso, per quasi tutte le altre scoperte dell’uomo, si tennero accese discussioni, a volte anche a causa del «bigottismo della Chiesa» (Fawcett nel film). La decisione di avvalorare, o meno, una qualsiasi teoria, fu molto dura da prendere, in particolare proprio per il Darwinismo, che ebbe un impatto poco felice, e forse la questione venne risolta per… alzata di mano! Fawcett, invece aveva la mente aperta a qualsiasi possibilità, così come i ricercatori e gli studiosi delle cosiddette scienze di frontiera riluttanti a non volersi allineare alle teorie ortodosse comunemente accettate. Noi siamo convinti che manca qualcosa, che non ci è stato detto tutto, soprattutto sulle nostre vere origini, che mancano ancora molti tasselli del puzzle (Percy Fawcett chiamò appunto Zeta, la civiltà scomparsa credendola essa l’ultimo tassello). Fortunatamente la ricerca continua, anche per quanto riguarda quella condotta dall’esploratore britannico, prima per opera di Timothy Paterson, pronipote di Percy Fawcett, che da Stia in provincia di Arezzo, compì due spedizioni nel 1978 e nel 1979, con l’aiuto degli affiliati della brasiliana Sociedade Teùrgica che «porta avanti la tradizione spirituale iniziata ottocentomila anni fa dai Toltechi, primi abitanti di Zeta»(5). Altro aspetto rilevante nel film, a parte le splendide scene nella giungla incontaminata, supportate da un’ottima fotografia, è proprio il rapporto che Fawcett instaurava ogni volta che incontrava i nativi, attenendosi ai loro usi, tutti, appunto rivolti alla spiritualità e all’incondizionato rispetto per le leggi naturali. Infine, come si legge prima dei titoli di coda, in pieno XXI secolo, una spedizione condotta da alcuni archeologi, ha scoperto, proprio nel punto indicato da Fawcett, una fitta ragnatela di strade, ma anche ponti e alcune vestigia di una misteriosa civiltà. Albert Einstein disse: «La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza».

Note:
1. Alfredo Castelli, L’Enciclopedia dei Misteri, a cura di, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993.
2. Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), famosa occultista, nel 1875 fu cofondatrice di una delle più famose associazioni esoteriche la “Società Teosofica”. Il termine teosofia deriva dal greco e significa “conoscenza di Dio”. Il pensiero teosofico sostiene che tutte le religioni deriverebbero da un’unica verità divina. (Wikipedia)
3. A. Castelli, op. cit.
4. A. Castelli, op. cit.
5. A. Castelli, op. cit.

Fonti:
L’Enciclopedia dei Misteri, Alfredo Castelli, a cura di, A. Mondadori Editore, Milano, 1993.
Wikipedia
http://www.mymovies.it/film/2016/thelostcityofz/
http://www.mymovies.it/film/2016/thelostcityofz/rassegnastampa/765866/
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/verit-scientifica-non-si-pu-decidere-alzata-mano-spiegava-1392352.html

Credit: Wikipedia

Passengers e i rischi dell’ibernazione

una scena del film Passengers

È ancora nelle sale il film di Morten Tyldum, Passengers (2016) con protagonisti Jennifer Lawrence (l’eroina di Hunger Games) e Chris Pratt. La trama: la nave spaziale Avalon è diretta dalla Terra fino ad un nuovo pianeta simile al nostro, distante 120 anni di viaggio.
Per questo motivo ci sono più di 5000 persone in stato d’ibernazione pronte a risvegliarsi solo pochi mesi prima dello sbarco. Qualcosa va storto: Jim/Pratt, meccanico, per un guasto alla sua capsula, causato da una pioggia di meteoriti, si veglia quando sono passati solo 30 anni di viaggio. Appena capisce che dovrà passare il resto del viaggio, ma soprattutto tutta la sua vita da solo (il processo d’ibernazione non può essere ripristinato), che dovrà morire sulla nave senza vedere mai la meta, cade in uno stato che lo porterà quasi fino alla pazzia e al suicidio.
Quindi dopo averle provate tutte, con nessuno con cui parlare, a parte il barman androide, dopo più di un anno, prende una decisione, secondo me umana, anche se contro le regole e tutti i buoni propositi etici; decide infatti di svegliare una sua compagna di viaggio, la scrittrice Aurora/Lawrence, passeggero di prima classe, facendole credere che anche alla sua capsula si è verificato un guasto. Logicamente ne nasce la classica storia d’amore; senza falsi moralismi, chi non vorrebbe o non ha mai sognato di poter vivere per sempre con la donna che si ama su un’astronave piena di tutti i confort, cibo e divertimenti viaggiando nelle sconfinate distese dell’universo? Questo, a mio parere, è uno dei punti chiave del film, ma non continuerò con la trama per non scoprire il finale.  Anche se sono diverse le chiavi di lettura del film, ampiamente descritte e sviluppate su diversi siti (lascio come al solito la facoltà al lettore di approfondire tali temi), quello che interessa per questo post è analizzare più da vicino l’ibernazione e soprattutto quali sono i rischi e se veramente essa potrà o meno far parte del nostro futuro. Chiaramente questo è un tema caro alla fantascienza letteraria e cinematografica, infatti sono molte le pellicole che hanno usato questa sorta di escamotage per portare essere umani a compiere viaggi spaziali lunghi centinaia di anni, ricordiamo qui i più importanti: da 2001: Odissea nello spazio (S. Kubrick, 1968), fino ad Interstellar (C. Nolan, 2014), passando per Il pianeta della scimmie (F. J. Schaffner, 1968), Alien (R. Scott, 1979), Avatar (J. Cameron, 2009) e in Demolition Man (M. Brambilla, 1993) e Minority Report (S. Spielberg, 2002), anche se per questi ultimi due la situazione è un pò diversa come spiegheremo più avanti.
Per ibernazione s’intende:  «una condizione biologica in cui le funzioni vitali sono ridotte al minimo, il battito cardiaco e la respirazione rallentano, il metabolismo si riduce e la temperatura corporea si abbassa. Può essere intesa come letargo negli animali o anche come ipotermia preventiva in medicina (anche se non si raggiungono mai temperature inferiori a pochi gradi sopra lo zero). È spesso utilizzato come metodo di animazione sospesa per gli esseri umani nella fantascienza» (Wikipedia). La scienza attuale quindi, è ancora abbastanza lontana dall’effettuare un’ibernazione per lunghi o lunghissimi viaggi; ipotermia preventiva a parte, oppure per i pazienti che hanno subito ipossia cerebrale, l’ibernazione (o anche sonno artificiale) è in grado di ritardare solo l’invecchiamento, senza rallentarlo e quindi ciò sconfessa ampiamente chi crede che sia possibile in questo modo, allungare la vita. In breve: se un corpo è destinato a vivere 100 anni, 100 anni vivrà, anche se la sua morte potrà avvenire in una data che oltrepassa di gran lunga il tempo per esso previsto dalle leggi naturali, cioè vivrebbe a “spezzoni”. Ed è ciò che accade ai protagonisti del film di Tyldum e a quelli dei film di Kubrick, Nolan, Schaffner, Scott, Cameron, ma non per i protagonisti di Demilition Man e Minority Report, come detto, in questi casi si parla di criogenesi. Che cos’è la criogenesi? Facciamo un passo indietro. Il 18 novembre scorso i media hanno dato una particolare notizia: nel Regno Unito, una ragazza di soli 14 anni, morta di cancro, ha chiesto e ottenuto, dalle autorità preposte, di essere ibernata dopo la morte. Il processo è molto delicato, in pratica il cadavere (o solo la testa, in quanto entrano in gioco anche i motivi economici), dopo averne accertato la morte, viene drenato del sangue sostituito con sostanze chiamate crioprotettori, infine la temperatura viene progressivamente e lentamente portata a -196° e messo in un cilindro, a testa in giù, pieno di azoto liquido. Nel mondo esistono solo due strutture negli Stati Uniti e una in Russia che per la modica somma, che può arrivare anche a 200 mila euro (o 80 mila per la testa), eseguono la criogenesi e, attualmente sono circa 250 corpi “ospitati” in tali strutture (tra cui 10 italiani). La speranza di questi speciali pazienti (se è possibile usare tale termine) è che in una data impossibile da precisare, la scienza avrà compiuto passi in avanti tali da permettere la resurrezione del corpo, alla fine è di questo che si tratta, sperando che il processo inverso venga compiuto adeguatamente (cioè che gli organi rispondano positivamente) e in più, come per la ragazzina inglese, che la medicina abbia finalmente debellato malattie come il cancro e, si spera, addirittura quelle genetiche e degeneranti. Più che fantascienza quindi o, se preferite, «una scommessa», secondo Roberto Amici, docente di Fisiologia dell’Università di Bologna. E sono solo questi, i labili “pro”, di tutto il contesto, ma molti i “contro”. Analizziamoli. Per prima cosa, messo in sicurezza il corpo, nella capsula, per quanto riguarda l’ibernazione o sonno artificiale (in una particolare struttura o in un’astronave), o nel cilindro pieno di azoto liquido, per quanto riguarda la criogenesi, chi ci dice che la sede resisterà nel tempo e non verrà mai distrutta magari da una guerra, da un terremoto, o da una qualsiasi calamità naturale? Chi ci dice che l’astronave, come in Passengers, proseguirà indenne il viaggio? Tutto sarebbe perduto, ma non finisce qui. Come detto, dopo il “risveglio”, sia per gli ibernati che per i criogenesizzati, sarebbe tutto normale? Si ripristinerebbero naturalmente tutte le varie funzioni vitali normalmente? E come si è “dormito” in tutto quel tempo? Nei film Demolition Man e Minority Report, viene descritta quella che in realtà sarebbe una criogenesi diversa, cioè la conservazione del corpo, per detenzione, ancora in vita. Quindi sarebbe immobilizzato soltanto il corpo, ma la mente, il nostro cervello?
Resterebbe perfettamente sveglio con tutte le complicazioni che ne potrebbero derivare? Si rischierebbe di diventare pazzi? Inoltre ci sarebbero oltre alle problematiche etiche, problematiche prettamente sociologiche. Per i possibili astronauti, se tutto andasse bene, avrebbero a disposizione un nuovo mondo dove cominciare una nuova vita, indipendentemente se si è soli o in compagnia. Ma chi è sottoposto a criogenesi?
Per fortuna, come in molti casi è ancora la realtà a venirci in aiuto. Tornando alla storia della ragazzina inglese, il padre non era d’accordo a che la figlia venisse sottoposta a criogenesi. Perché? Le sue perplessità sono interessanti e molto logiche: se la ragazzina riuscisse nel suo intento o meglio se gli addetti ai lavori riusciranno a risvegliarla e a guarirla, in che mondo vivrebbe? Certo la curiosità di vedere il futuro è forte, ma si ritroverebbe di colpo sola, tutti i suoi cari morti da chissà quanto tempo, senza soldi, senza una casa, un lavoro e forse in una società degradata e pericolosa.
In tutta onestà il gioco non vale la candela. L’immortalità è l’unico e vero sogno dell’uomo, ma questa, secondo la mia modesta opinione, ne è solo una pallida parvenza. Questi sono i sogni di chi non crede nella vera essenza vitale: l’anima.
Io spero che la mia anima, un giorno, finchè durerà questo universo, potrà viaggiare senza vincoli, libera per l’intero cosmo.

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Ibernazione
http://www.repubblica.it/salute/prevenzione/2016/11/18/news/gb_giudici_ordinano_ibernazione_post_mortem_di_una_14enne-152241714/
http://www.lettera43.it/it/articoli/attualita/2016/11/18/ibernazione-umana-le-cose-da-sapere-tra-realta-e-fantascienza/206621/
http://www.quotidiano.net/cronaca/ibernazione-criogenesi-1.2687660

Photo credits: http://www.slashfilm.com/passengers-ending/

Un pianeta sulla quale

Foto_libro.pngTre anni fa una delle tracce predisposte dal ministero per gli esami di maturità era: “La vita fuori del nostro pianeta: esistono forme di vita extraterrestri?”, scelta eccezionale che ebbe una certa risonanza e che mi permise di scrivere un post che potete rileggere qui. La curiosità di leggere qualche tema allora era tanta, adesso però possiamo toglierci un minimo di curiosità. Il titolo di questo post è tratto dal libro di Roberto Ippolito “Ignoranti – L’Italia che non sa – L’Italia che non va” (Chiarelettere, 2013). Il libro è la drammatica, ma autentica, istantanea di questo paese ed evidenzia quanto l’ignoranza sia enormemente diffusa  in ogni segmento della società e ad ogni livello. Di solito questo blog si occupa di problemi globali, ma l’occasione mi sembrava allettante per esprimere alcuni concetti. Nel libro, interessante ed a tratti divertente, ho estrapolato alcune frasi che l’autore a sua volta ha ripreso dai suddetti temi, per brevità e per non offendere l’intelligenza di chi legge non riporterò i sagaci commenti dell’autore stesso anche perché consiglio di leggere il libro. «Nell’antichità, in molte grotte o caverne, erano presenti molti graffiti che rappresentavano alieni. È difficile pensare che le persone di quel tempo si inventassero delle fandonie solo per andare in televisione, come accade molto spesso al giorno d’oggi, anche perché non ne avevano il motivo». «Se gli ufo non esistessero i nostri studi su di essi sarebbero vaghi», e ancora «strani veicoli che planano nei nostri cieli». Meno male poi che «Nell’universo il mondo non è posto in una posizione centrale, ma è pur sempre significativo». Qualcuno infine è andato anche oltre osando addirittura che la scienza «riesce a conquistare l’uomo facendogli cambiare opinione su un qualcosa e a credere a ciò che dice lei» per il fine ultimo della «manovrazione delle coscienze». A pensarci bene forse c’è poco da ridere, evidentissimi errori a parte, si denota, che poi è quello che a noi interessa, la scarsissima e la nessuna padronanza della materia ufologica. Certo espressioni grammaticali a parte, qualche concetto complottista è entrato a far parte dell’immaginario collettivo come la “manipolazione delle coscienze”, ma è ancora poca cosa. E potrebbe essere altrimenti visto che c’è chi sostiene che gli asini insegnano ad altri asini? Ecco perché per la scienza e più in generale per chi detiene il potere è facile “conquistare” l’uomo e fargli fare ciò che essi vogliono. Cosa aggiungere, mi ritorna in mente la nota pubblicità prodotta qualche anno fa da Greenpeace che mostrava una breve serie di avvistamenti ufo che sfrecciavano rapidamente, subito dopo essere apparsi, tra palazzi e grattacieli di grandi città, si concludeva con la frase che recitava: «ti sei mai chiesto perché vanno sempre via?» Noi speravamo nelle generazioni future, ossessionati dall’estenuante ricerca di civiltà intelligenti nello spazio, non ci siamo accorti che forse la Terra è davvero un pianeta sulla quale non esiste vita intelligente…

Commenti_Un pianeta sulla quale

Quando gli Déi…

Non sono mai stato un acceso simpatizzante dei supereroi, specie quelli in costume, in pratica tutta la categoria delle famose case americane di fumetti che hanno avuto l’onore della trasposizione cinematografica, a volte con sorprendenti successi e, oltre ad incassi favolosi, anche un buon riconoscimento dalla critica come ad esempio gli ultimi due Batman: Batman Begins (C. Nolan, 2005) e Il Cavaliere Oscuro (C. Nolan, 2008) quest’ultimo con la struggente, per così dire, interpretazione dell’antagonista Jocker affidata al compianto Heath Ledger, addirittura in odore di Oscar postumo.
Da appassionato di fantascienza (e mi è sembrato giusto aprire in questo modo la sezione), non credo che nella realtà tutto questo potrebbe funzionare, ci sono in giro già troppe maschere, inoltre sarebbe cosa più vicina alla fantasia, quella vera, e gli eroi dovrebbero mestamente ritirarsi a vita privata e come qualcuno ha detto: «se ne starebbero seduti sul divano in t-shirt e ciabatte, con una birra in mano a guardare la tv…».
Ultimamente però, il cinema sta proponendo tutta una serie di super-anti-eroi, dotati di particolari superpoteri che, in un certo senso, sembrano funzionare più degli altri. Senza andare troppo indietro nel tempo (Unbreakable di M. N. Shyamalan è del 2000), proprio quest’anno sono usciti due film con protagonisti super eroi per così dire diversi.
Anche se hanno sempre un passato oscuro e il loro tormento è figlio di precedenti catastrofi personali, essi, lungo il dipanarsi della vicenda riescono a riscattarsi solo in parte e sono costretti anche dopo la consacrazione da parte dei cittadini, addirittura a restare nascosti o fuggire per salvare chi gli sta più a cuore.
È il caso di Jumper (D. Liman) dove il protagonista, capace di teletrasportarsi in ogni luogo della Terra solo con la forza del pensiero, riuscendo così nella stessa giornata a fare colazione sulla testa della sfinge ed a surfare alle isole Fiji, è braccato da una sorta di confraternita segreta, i Paladini, che danno la caccia ai Saltatori da millenni: ladro di banche, per permettersi una vita agiata, scoprirà che dovrà difendersi anche dalla donna che lo ha messo al mondo, cosa che gli verrà rivelata dalla madre stessa (Paladina anche lei) che fu costretta a lasciarlo in tenera età, per non ucciderlo.
In Hancock (P. Berg) con un sempre bravo Will Smith, la situazione è un po’ diversa: dedito all’alcool ed a combinare troppi guai rispetto a quanto direttamente o indirettamente richiesto per salvare il malcapitato di turno, è costretto, suo malgrado, a rinunciare alla donna che ama per salvare la vita ad entrambi in uno dei finali più drammatici e sorprendenti; inaspettati in un’opera che dovrebbe rilassare più che interrogare lo spettatore.
Ed è questo il punto ed il nocciolo della questione. Vi starete chiedendo, ma tutto questo cosa centra con il conoscere per credere?
È presto detto. Anche se strutturalmente i film con i super eroi (in calzamaglia o meno) sono sostanzialmente simili, dal misconoscimento iniziale fino all’esaltazione finale, dove l’uso degli effetti speciali e della computer grafica, sebbene sempre più spinta verso orizzonti inesplorati, riesce ad essere parte integrante della trama, è proprio in essa e nei concetti palesemente o velatamente espressi che si nota la differenza con i film del recente passato.
Come abbiamo visto, in Jumper si parla di teletrasporto, addirittura senza l’uso di fantascientifici macchinari, ma anche di concetti espressi con termini più scientifici come portali dimensionali e wormhole da alcuni anni oggetto di studio da parte di numerosi scienziati che, nella finzione scenica, spingono al massimo i loro esperimenti come succede in X-Files I want to believe (C. Carter, 2008), e ancora confraternite segrete, segreti strenuamente nascosti e difesi, antiche leggende che fanno da filo conduttore con Hancock dove la magia cammina di pari passo con la scienza e la religione (cfr. Malanga pensiero).
Quindi testi sacri, Bibbia compresa, ma anche immortalità ed esperimenti forse eseguiti in un lontanissimo passato, ormai dimenticato, «quando gli dei camminavano sulla Terra»(http://alieniemisteri.altervista.org/ufo_nella_bibbia.htm).
Tutto ciò, e chiudo, porta alla morale finale e alla classica domanda che è la molla che spinge i ricercatori di frontiera ad andare avanti, domanda che è il bagaglio di chi con intelligenza viene, al cospetto di tali concetti, assalito dal dubbio, domanda, infine, già espressa da molti in vari modi: «se tutte queste cose non esistono, saremmo, solo con l’uso della creatività, veramente in grado di descriverle?».

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In dubbio l’esistenza di Dio?

E’ stato un successo l’esperimento eseguito al CERN di Ginevra all’interno dell’LHC «la più grande macchina costruita dall’uomo», dove fasci di protoni sono stati sparati, nell’anello lungo 27 km, ad una velocità prossima a quella della luce, il tutto, come già detto, anche in questo blog, per cercare di ricreare le condizioni, ipoteticamente verificatesi nel Big Bang che ha dato origine al nostro universo e, in particolare, scovare il bosone di Higgs, più comunemente noto come “particella di Dio”.
Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare in quanto alcuni scienziati, anche di un certo rilievo, avevano cercato di far annullare l’esperimento perché si temeva che dalla collisione dei protoni potevano formarsi microscopici buchi neri, uno dei quali avrebbe potuto, ingrandendosi, inghiottire l’intero pianeta.
Anche se gli stessi scienziati, responsabili dell’esperimento avevano affermato che l’ipotesi non era da scartare, hanno comunque osteggiato una tale sicurezza,  ridicolizzando i loro colleghi scettici, che è sembrato per certi versi quasi un delirio di onnipotenza, senza tenere presente che «molto probabilmente sono entrate in gioco leggi fisiche molto diverse da quelle note oggi» (ansa.it).
In pratica, è solo un mio modesto parere, la frase che andrebbe detta da uno scienziato alla fine di ogni suo discorso, specie quando ci si affaccia per la prima volta verso orizzonti inesplorati è “… secondo le nostre attuali conoscenze”, in quanto quello che non sappiamo, sull’universo che ci circonda, è ancora una grossa percentuale.
Ma, come detto, sembra che molti scienziati, siano narcotizzati dalla sete di conoscenza o peggio, così come ha commentato Ludovica, 9 anni, «ma che vogliono dimostrare che Dio non esiste?».

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