È disponibile in rete, qui, la mia ultima intervista condotta dall’amico Roberto La Paglia, sul suo canale youtube Frontiere Proibite. Mai termine è stato più azzeccato di proibito, infatti oltre al famoso cult Forbidden Planet (Fred M. Wilcox, 1956), attualmente Marte, nel senso di frontiera è l’ultima, ma anche nuova frontiera spaziale; proibita perché dopo 44 missioni, miliardi di dollari spesi, non si è ancora riusciti a cavare il cosiddetto ragno dal buco, cioè la ricerca di vita aliena, passata o presente, almeno a livello batterico, sul quarto pianeta. Missioni, peraltro per i due terzi fallite, anche per errori banali, tipo l’equivalenze sbagliate, hanno portato finora, in via ufficiale, ad ammartare, soltanto, orbiter, lander, rover e addirittura droni, come per quanto riguarda la Perseverance, lì da poco. Un viaggio quindi tra scienza, fantascienza e cover up, sì perché secondo alcune fonti, chiaramente non confermate, l’uomo ha già messo piede, oltre che sul suolo lunare, anche su Marte, con il Progetto Pegasus, che schierava tra gli astronauti, i Dieci Titani, anche, incredibilmente, il giovane, futuro presidente Barak Obama, grazie all’ausilio della flotta spaziale, tipo Star Trek, dal suggestivo nome di Solar Warden. Ultima annotazione, seconda ciliegina sulla torta (la prima la troverete nell’intervista) -vuoi vedere che la tanto strombazzata notizia, che notizia non sarebbe per gli addetti ai lavori, della scoperta di vita sul quarto pianeta dal sole, non serva ad altro se non a distrarre l’umanità da problemi molto più gravi e pressanti?..
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Il biopic di James Gray La civiltà perduta (The Lost City of Z, tit. orig.) è tratto dall’omonimo libro di David Grann che narra la vicenda di Percy Harrison Fawcett (1867-1925 o in seguito); militare eroe di guerra, avventuriero, cartografo e poi esploratore a tempo pieno, era molto popolare a quei tempi tanto che il suo amico Sir Henry R. Haggard autore de Le miniere di re Salomone, si ispirò proprio a lui per ideare il personaggio di Allan Quatermain. Dal diario dell’esploratore: «Chi capirà che non cerco gloria né denaro; che faccio tutto questo nella speranza che il vantaggio che ne potrà risultare per l’umanità giustifichi il tempo speso nella ricerca?»(1). Sebbene nel film il personaggio di Fawcett, interpretato dall’attore C. Hunnam (ma il ruolo sarebbe toccato a Brad Pitt, se questi non avesse rifiutato, per dedicarsi solo alla produzione), sia ben illustrato, non sembra abbastanza incisivo. Gli incipit di presentazione nei trailers parlano di curiosità, di scoperta e di ossessione, ma è nella frase della medium -che ricorda fin troppo da vicino, Madame Blawatsky(2), conosciuta sul fronte francese nella Grande Guerra, dove possiamo capire i vari nodi che caratterizzarono una personalità, a volte forse, fin troppo eccentrica nella visione del mondo, ma instancabile, perché «Ciò che cerchi, è infinitamente più grande, di quello che la tua mente può arrivare a comprendere, è il tuo destino». Cosa rende grandi alcune persone? Cosa ha spinto i grandi esploratori a compiere i loro viaggi, a volte verso l’ignoto? Percy Fawcett infatti, aveva quel sense of wonder, il senso del meraviglioso, del fantastico che è caratteristica di chi ha la mente aperta e rivolta verso il futuro. Bastarono, infatti, poche parole dell’indio che gli fece da guida nella sua prima spedizione, pochi cocci di terracotta, un masso e un albero incisi, per mettere in moto tutto il complicato meccanismo che spinse l’esploratore a tornare più volte in Amazzonia, presso la Serra do Roncador, nel Mato Grosso dove trovò forse la morte, insieme al primogenito Jack, nell’ormai lontano 1925, appunto nell’ossessiva ricerca della mitica Civiltà Zeta, la Cuidade Encantada, per altri meglio nota come El Dorado. Qui è d’obbligo fermarsi un attimo per capire più da vicino come nacque il mito della leggendaria città d’oro. L’El Dorado (abbrev. spagnola di El Indio Dorado) è un luogo leggendario in cui vi sarebbero immense quantità di oro e pietre preziose, oltre a conoscenze esoteriche antichissime, questo secondo la definizione data da Wikipedia. Mentre per Alfredo Castelli, curatore dell’Enciclopedia dei Misteri (v. note e fonti) l’Eldorado, era, in realtà, un rito propiziatorio, «una suggestiva cerimonia che, effettivamente, implicava il sacrificio di una certa ricchezza, e che tuttavia non giustificava gli incredibili sforzi e l’enorme spargimento di sangue che riuscì a scatenare nel giro di pochi decenni». Il rito aveva anche una valenza simbolico-esoterica: «l’uomo sfruttando correttamente le forze della natura, può passare dallo stadio primitivo a quello di essere superiore»(3).
Per simboleggiare tale passaggio il grande sacerdote, lo Zipa, veniva ricoperto con polvere d’oro e quando il sole raggiungeva lo zenit, si immergeva nel lago, mentre gli altri indigeni gettavano oggetti votivi, anche d’oro, nelle sue acque. Ma come spesso è accaduto nella storia dell’uomo, la leggenda cominciò ad ingigantirsi a partire dal 1520 a causa del Conquistador Hernan Cortèz. «Centinaia e centinaia di Indios furono torturati e uccisi perché rivelassero ciò che non sapevano; centinaia di conquistadores persero invano la vita nella foresta o sugli impervi sentieri andini. E il sogno dell’Eldorado continua in tempi recenti»(4).
Il colonnello Percy H. Fawcett, a differenza dei conquistadores non era spinto da una bramosia di oro e fama e questo lo si capisce nella disputa che dovette affrontare (varie volte tra l’altro), alla presenza di tutti gli affiliati della Royal Geographical Society, tra i principali finanziatori delle prime due spedizioni (la terza e ultima fu finanziata anche da uomini d’affari americani oltra all’immancabile famiglia Rockfeller). Spoiler: Fawcett dovette sudare le classiche sette camicie, per controbattere chi si opponeva ritenendo esigue le prove ed eccessivo il costo, egli, infatti, sosteneva che la scoperta avrebbe permesso di compiere alla nostra, perduta, civiltà, arrogante e spregiudicata (sono quasi le sue parole), un decisivo passo in avanti. Al di là delle scaramucce verbali, delle battute in classico stile british humor, quello che colpisce della sequenza, delineata in maniera egregia dal regista con repentini cambi d’inquadratura, veloci primi piani, in quella che sembra davvero un’aula di tribunale per soli uomini, con le donne relegate in galleria, perché in epoca edoardiana esse avevano un ruolo ancora di secondo piano, è proprio l’intensità dello scontro. Inoltre la scena, ricorda molto da vicino il film Processo alla scimmia (D. Greene, 1988), tratto da una storia vera, in cui si dibatte logicamente dell’evoluzione umana. Proprio agli inizi del secolo scorso, per quasi tutte le altre scoperte dell’uomo, si tennero accese discussioni, a volte anche a causa del «bigottismo della Chiesa» (Fawcett nel film). La decisione di avvalorare, o meno, una qualsiasi teoria, fu molto dura da prendere, in particolare proprio per il Darwinismo, che ebbe un impatto poco felice, e forse la questione venne risolta per… alzata di mano! Fawcett, invece aveva la mente aperta a qualsiasi possibilità, così come i ricercatori e gli studiosi delle cosiddette scienze di frontiera riluttanti a non volersi allineare alle teorie ortodosse comunemente accettate. Noi siamo convinti che manca qualcosa, che non ci è stato detto tutto, soprattutto sulle nostre vere origini, che mancano ancora molti tasselli del puzzle (Percy Fawcett chiamò appunto Zeta, la civiltà scomparsa credendola essa l’ultimo tassello). Fortunatamente la ricerca continua, anche per quanto riguarda quella condotta dall’esploratore britannico, prima per opera di Timothy Paterson, pronipote di Percy Fawcett, che da Stia in provincia di Arezzo, compì due spedizioni nel 1978 e nel 1979, con l’aiuto degli affiliati della brasiliana Sociedade Teùrgica che «porta avanti la tradizione spirituale iniziata ottocentomila anni fa dai Toltechi, primi abitanti di Zeta»(5). Altro aspetto rilevante nel film, a parte le splendide scene nella giungla incontaminata, supportate da un’ottima fotografia, è proprio il rapporto che Fawcett instaurava ogni volta che incontrava i nativi, attenendosi ai loro usi, tutti, appunto rivolti alla spiritualità e all’incondizionato rispetto per le leggi naturali. Infine, come si legge prima dei titoli di coda, in pieno XXI secolo, una spedizione condotta da alcuni archeologi, ha scoperto, proprio nel punto indicato da Fawcett, una fitta ragnatela di strade, ma anche ponti e alcune vestigia di una misteriosa civiltà. Albert Einstein disse: «La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza».
Note:
1. Alfredo Castelli, L’Enciclopedia dei Misteri, a cura di, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993.
2. Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), famosa occultista, nel 1875 fu cofondatrice di una delle più famose associazioni esoteriche la “Società Teosofica”. Il termine teosofia deriva dal greco e significa “conoscenza di Dio”. Il pensiero teosofico sostiene che tutte le religioni deriverebbero da un’unica verità divina. (Wikipedia)
3. A. Castelli, op. cit.
4. A. Castelli, op. cit.
5. A. Castelli, op. cit.
Fonti:
L’Enciclopedia dei Misteri, Alfredo Castelli, a cura di, A. Mondadori Editore, Milano, 1993.
Wikipedia
http://www.mymovies.it/film/2016/thelostcityofz/
http://www.mymovies.it/film/2016/thelostcityofz/rassegnastampa/765866/
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/verit-scientifica-non-si-pu-decidere-alzata-mano-spiegava-1392352.html
Credit: Wikipedia
Tre anni fa una delle tracce predisposte dal ministero per gli esami di maturità era: “La vita fuori del nostro pianeta: esistono forme di vita extraterrestri?”, scelta eccezionale che ebbe una certa risonanza e che mi permise di scrivere un post che potete rileggere qui. La curiosità di leggere qualche tema allora era tanta, adesso però possiamo toglierci un minimo di curiosità. Il titolo di questo post è tratto dal libro di Roberto Ippolito “Ignoranti – L’Italia che non sa – L’Italia che non va” (Chiarelettere, 2013). Il libro è la drammatica, ma autentica, istantanea di questo paese ed evidenzia quanto l’ignoranza sia enormemente diffusa in ogni segmento della società e ad ogni livello. Di solito questo blog si occupa di problemi globali, ma l’occasione mi sembrava allettante per esprimere alcuni concetti. Nel libro, interessante ed a tratti divertente, ho estrapolato alcune frasi che l’autore a sua volta ha ripreso dai suddetti temi, per brevità e per non offendere l’intelligenza di chi legge non riporterò i sagaci commenti dell’autore stesso anche perché consiglio di leggere il libro. «Nell’antichità, in molte grotte o caverne, erano presenti molti graffiti che rappresentavano alieni. È difficile pensare che le persone di quel tempo si inventassero delle fandonie solo per andare in televisione, come accade molto spesso al giorno d’oggi, anche perché non ne avevano il motivo». «Se gli ufo non esistessero i nostri studi su di essi sarebbero vaghi», e ancora «strani veicoli che planano nei nostri cieli». Meno male poi che «Nell’universo il mondo non è posto in una posizione centrale, ma è pur sempre significativo». Qualcuno infine è andato anche oltre osando addirittura che la scienza «riesce a conquistare l’uomo facendogli cambiare opinione su un qualcosa e a credere a ciò che dice lei» per il fine ultimo della «manovrazione delle coscienze». A pensarci bene forse c’è poco da ridere, evidentissimi errori a parte, si denota, che poi è quello che a noi interessa, la scarsissima e la nessuna padronanza della materia ufologica. Certo espressioni grammaticali a parte, qualche concetto complottista è entrato a far parte dell’immaginario collettivo come la “manipolazione delle coscienze”, ma è ancora poca cosa. E potrebbe essere altrimenti visto che c’è chi sostiene che gli asini insegnano ad altri asini? Ecco perché per la scienza e più in generale per chi detiene il potere è facile “conquistare” l’uomo e fargli fare ciò che essi vogliono. Cosa aggiungere, mi ritorna in mente la nota pubblicità prodotta qualche anno fa da Greenpeace che mostrava una breve serie di avvistamenti ufo che sfrecciavano rapidamente, subito dopo essere apparsi, tra palazzi e grattacieli di grandi città, si concludeva con la frase che recitava: «ti sei mai chiesto perché vanno sempre via?» Noi speravamo nelle generazioni future, ossessionati dall’estenuante ricerca di civiltà intelligenti nello spazio, non ci siamo accorti che forse la Terra è davvero un pianeta sulla quale non esiste vita intelligente…
Non sono mai stato un acceso simpatizzante dei supereroi, specie quelli in costume, in pratica tutta la categoria delle famose case americane di fumetti che hanno avuto l’onore della trasposizione cinematografica, a volte con sorprendenti successi e, oltre ad incassi favolosi, anche un buon riconoscimento dalla critica come ad esempio gli ultimi due Batman: Batman Begins (C. Nolan, 2005) e Il Cavaliere Oscuro (C. Nolan, 2008) quest’ultimo con la struggente, per così dire, interpretazione dell’antagonista Jocker affidata al compianto Heath Ledger, addirittura in odore di Oscar postumo.
Da appassionato di fantascienza (e mi è sembrato giusto aprire in questo modo la sezione), non credo che nella realtà tutto questo potrebbe funzionare, ci sono in giro già troppe maschere, inoltre sarebbe cosa più vicina alla fantasia, quella vera, e gli eroi dovrebbero mestamente ritirarsi a vita privata e come qualcuno ha detto: «se ne starebbero seduti sul divano in t-shirt e ciabatte, con una birra in mano a guardare la tv…».
Ultimamente però, il cinema sta proponendo tutta una serie di super-anti-eroi, dotati di particolari superpoteri che, in un certo senso, sembrano funzionare più degli altri. Senza andare troppo indietro nel tempo (Unbreakable di M. N. Shyamalan è del 2000), proprio quest’anno sono usciti due film con protagonisti super eroi per così dire diversi.
Anche se hanno sempre un passato oscuro e il loro tormento è figlio di precedenti catastrofi personali, essi, lungo il dipanarsi della vicenda riescono a riscattarsi solo in parte e sono costretti anche dopo la consacrazione da parte dei cittadini, addirittura a restare nascosti o fuggire per salvare chi gli sta più a cuore.
È il caso di Jumper (D. Liman) dove il protagonista, capace di teletrasportarsi in ogni luogo della Terra solo con la forza del pensiero, riuscendo così nella stessa giornata a fare colazione sulla testa della sfinge ed a surfare alle isole Fiji, è braccato da una sorta di confraternita segreta, i Paladini, che danno la caccia ai Saltatori da millenni: ladro di banche, per permettersi una vita agiata, scoprirà che dovrà difendersi anche dalla donna che lo ha messo al mondo, cosa che gli verrà rivelata dalla madre stessa (Paladina anche lei) che fu costretta a lasciarlo in tenera età, per non ucciderlo.
In Hancock (P. Berg) con un sempre bravo Will Smith, la situazione è un po’ diversa: dedito all’alcool ed a combinare troppi guai rispetto a quanto direttamente o indirettamente richiesto per salvare il malcapitato di turno, è costretto, suo malgrado, a rinunciare alla donna che ama per salvare la vita ad entrambi in uno dei finali più drammatici e sorprendenti; inaspettati in un’opera che dovrebbe rilassare più che interrogare lo spettatore.
Ed è questo il punto ed il nocciolo della questione. Vi starete chiedendo, ma tutto questo cosa centra con il conoscere per credere?
È presto detto. Anche se strutturalmente i film con i super eroi (in calzamaglia o meno) sono sostanzialmente simili, dal misconoscimento iniziale fino all’esaltazione finale, dove l’uso degli effetti speciali e della computer grafica, sebbene sempre più spinta verso orizzonti inesplorati, riesce ad essere parte integrante della trama, è proprio in essa e nei concetti palesemente o velatamente espressi che si nota la differenza con i film del recente passato.
Come abbiamo visto, in Jumper si parla di teletrasporto, addirittura senza l’uso di fantascientifici macchinari, ma anche di concetti espressi con termini più scientifici come portali dimensionali e wormhole da alcuni anni oggetto di studio da parte di numerosi scienziati che, nella finzione scenica, spingono al massimo i loro esperimenti come succede in X-Files I want to believe (C. Carter, 2008), e ancora confraternite segrete, segreti strenuamente nascosti e difesi, antiche leggende che fanno da filo conduttore con Hancock dove la magia cammina di pari passo con la scienza e la religione (cfr. Malanga pensiero).
Quindi testi sacri, Bibbia compresa, ma anche immortalità ed esperimenti forse eseguiti in un lontanissimo passato, ormai dimenticato, «quando gli dei camminavano sulla Terra»(http://alieniemisteri.altervista.org/ufo_nella_bibbia.htm).
Tutto ciò, e chiudo, porta alla morale finale e alla classica domanda che è la molla che spinge i ricercatori di frontiera ad andare avanti, domanda che è il bagaglio di chi con intelligenza viene, al cospetto di tali concetti, assalito dal dubbio, domanda, infine, già espressa da molti in vari modi: «se tutte queste cose non esistono, saremmo, solo con l’uso della creatività, veramente in grado di descriverle?».
E’ stato un successo l’esperimento eseguito al CERN di Ginevra all’interno dell’LHC «la più grande macchina costruita dall’uomo», dove fasci di protoni sono stati sparati, nell’anello lungo 27 km, ad una velocità prossima a quella della luce, il tutto, come già detto, anche in questo blog, per cercare di ricreare le condizioni, ipoteticamente verificatesi nel Big Bang che ha dato origine al nostro universo e, in particolare, scovare il bosone di Higgs, più comunemente noto come “particella di Dio”.
Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare in quanto alcuni scienziati, anche di un certo rilievo, avevano cercato di far annullare l’esperimento perché si temeva che dalla collisione dei protoni potevano formarsi microscopici buchi neri, uno dei quali avrebbe potuto, ingrandendosi, inghiottire l’intero pianeta.
Anche se gli stessi scienziati, responsabili dell’esperimento avevano affermato che l’ipotesi non era da scartare, hanno comunque osteggiato una tale sicurezza, ridicolizzando i loro colleghi scettici, che è sembrato per certi versi quasi un delirio di onnipotenza, senza tenere presente che «molto probabilmente sono entrate in gioco leggi fisiche molto diverse da quelle note oggi» (ansa.it).
In pratica, è solo un mio modesto parere, la frase che andrebbe detta da uno scienziato alla fine di ogni suo discorso, specie quando ci si affaccia per la prima volta verso orizzonti inesplorati è “… secondo le nostre attuali conoscenze”, in quanto quello che non sappiamo, sull’universo che ci circonda, è ancora una grossa percentuale.
Ma, come detto, sembra che molti scienziati, siano narcotizzati dalla sete di conoscenza o peggio, così come ha commentato Ludovica, 9 anni, «ma che vogliono dimostrare che Dio non esiste?».