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La civiltà perduta o la perduta civiltà?

Il biopic di James Gray La civiltà perduta (The Lost City of Z, tit. orig.) è tratto dall’omonimo libro di David Grann che narra la vicenda di Percy Harrison Fawcett (1867-1925 o in seguito); militare eroe di guerra, avventuriero, cartografo e poi esploratore a tempo pieno, era molto popolare a quei tempi tanto che il suo amico Sir Henry R. Haggard autore de Le miniere di re Salomone, si ispirò proprio a lui per ideare il personaggio di Allan Quatermain. Dal diario dell’esploratore: «Chi capirà che non cerco gloria né denaro; che faccio tutto questo nella speranza che il vantaggio che ne potrà risultare per l’umanità giustifichi il tempo speso nella ricerca?»(1). Sebbene nel film il personaggio di Fawcett, interpretato dall’attore C. Hunnam (ma il ruolo sarebbe toccato a Brad Pitt, se questi non avesse rifiutato, per dedicarsi solo alla produzione), sia ben illustrato, non sembra abbastanza incisivo. Gli incipit di presentazione nei trailers parlano di curiosità, di scoperta e di ossessione, ma è nella frase della medium -che ricorda fin troppo da vicino, Madame Blawatsky(2), conosciuta sul fronte francese nella Grande Guerra, dove possiamo capire i vari nodi che caratterizzarono una personalità, a volte forse, fin troppo eccentrica nella visione del mondo, ma instancabile, perché «Ciò che cerchi, è infinitamente più grande, di quello che la tua mente può arrivare a comprendere, è il tuo destino». Cosa rende grandi alcune persone? Cosa ha spinto i grandi esploratori a compiere i loro viaggi, a volte verso l’ignoto? Percy Fawcett infatti, aveva quel sense of wonder, il senso del meraviglioso, del fantastico che è caratteristica di chi ha la mente aperta e rivolta verso il futuro. Bastarono, infatti, poche parole dell’indio che gli fece da guida nella sua prima spedizione, pochi cocci di terracotta, un masso e un albero incisi, per mettere in moto tutto il complicato meccanismo che spinse l’esploratore a tornare più volte in Amazzonia, presso la Serra do Roncador, nel Mato Grosso dove trovò forse la morte, insieme al primogenito Jack, nell’ormai lontano 1925, appunto nell’ossessiva ricerca della mitica Civiltà Zeta, la Cuidade Encantada, per altri meglio nota come El Dorado. Qui è d’obbligo fermarsi un attimo per capire più da vicino come nacque il mito della leggendaria città d’oro. L’El Dorado (abbrev. spagnola di El Indio Dorado) è un luogo leggendario in cui vi sarebbero immense quantità di oro e pietre preziose, oltre a conoscenze esoteriche antichissime, questo secondo la definizione data da Wikipedia. Mentre per Alfredo Castelli, curatore dell’Enciclopedia dei Misteri (v. note e fonti) l’Eldorado, era, in realtà, un rito propiziatorio, «una suggestiva cerimonia che, effettivamente, implicava il sacrificio di una certa ricchezza, e che tuttavia non giustificava gli incredibili sforzi e l’enorme spargimento di sangue che riuscì a scatenare nel giro di pochi decenni». Il rito aveva anche una valenza simbolico-esoterica: «l’uomo sfruttando correttamente le forze della natura, può passare dallo stadio primitivo a quello di essere superiore»(3).
Per simboleggiare tale passaggio il grande sacerdote, lo Zipa, veniva ricoperto con polvere d’oro e quando il sole raggiungeva lo zenit, si immergeva nel lago, mentre gli altri indigeni gettavano oggetti votivi, anche d’oro, nelle sue acque. Ma come spesso è accaduto nella storia dell’uomo, la leggenda cominciò ad ingigantirsi a partire dal 1520 a causa del Conquistador Hernan Cortèz. «Centinaia e centinaia di Indios furono torturati e uccisi perché rivelassero ciò che non sapevano; centinaia di conquistadores persero invano la vita nella foresta o sugli impervi sentieri andini. E il sogno dell’Eldorado continua in tempi recenti»(4).

Percy Fawcett

Il colonnello Percy H. Fawcett, a differenza dei conquistadores non era spinto da una bramosia di oro e fama e questo lo si capisce nella disputa che dovette affrontare (varie volte tra l’altro), alla presenza di tutti gli affiliati della Royal Geographical Society, tra i principali finanziatori delle prime due spedizioni (la terza e ultima fu finanziata anche da uomini d’affari americani oltra all’immancabile famiglia Rockfeller). Spoiler: Fawcett dovette sudare le classiche sette camicie, per controbattere chi si opponeva ritenendo esigue le prove ed eccessivo il costo, egli, infatti, sosteneva che la scoperta avrebbe permesso di compiere alla nostra, perduta, civiltà, arrogante e spregiudicata (sono quasi le sue parole), un decisivo passo in avanti. Al di là delle scaramucce verbali, delle battute in classico stile british humor, quello che colpisce della sequenza, delineata in maniera egregia dal regista con repentini cambi d’inquadratura, veloci primi piani, in quella che sembra davvero un’aula di tribunale per soli uomini, con le donne relegate in galleria, perché in epoca edoardiana esse avevano un ruolo ancora di secondo piano, è proprio l’intensità dello scontro. Inoltre la scena, ricorda molto da vicino il film Processo alla scimmia (D. Greene, 1988), tratto da una storia vera, in cui si dibatte logicamente dell’evoluzione umana. Proprio agli inizi del secolo scorso, per quasi tutte le altre scoperte dell’uomo, si tennero accese discussioni, a volte anche a causa del «bigottismo della Chiesa» (Fawcett nel film). La decisione di avvalorare, o meno, una qualsiasi teoria, fu molto dura da prendere, in particolare proprio per il Darwinismo, che ebbe un impatto poco felice, e forse la questione venne risolta per… alzata di mano! Fawcett, invece aveva la mente aperta a qualsiasi possibilità, così come i ricercatori e gli studiosi delle cosiddette scienze di frontiera riluttanti a non volersi allineare alle teorie ortodosse comunemente accettate. Noi siamo convinti che manca qualcosa, che non ci è stato detto tutto, soprattutto sulle nostre vere origini, che mancano ancora molti tasselli del puzzle (Percy Fawcett chiamò appunto Zeta, la civiltà scomparsa credendola essa l’ultimo tassello). Fortunatamente la ricerca continua, anche per quanto riguarda quella condotta dall’esploratore britannico, prima per opera di Timothy Paterson, pronipote di Percy Fawcett, che da Stia in provincia di Arezzo, compì due spedizioni nel 1978 e nel 1979, con l’aiuto degli affiliati della brasiliana Sociedade Teùrgica che «porta avanti la tradizione spirituale iniziata ottocentomila anni fa dai Toltechi, primi abitanti di Zeta»(5). Altro aspetto rilevante nel film, a parte le splendide scene nella giungla incontaminata, supportate da un’ottima fotografia, è proprio il rapporto che Fawcett instaurava ogni volta che incontrava i nativi, attenendosi ai loro usi, tutti, appunto rivolti alla spiritualità e all’incondizionato rispetto per le leggi naturali. Infine, come si legge prima dei titoli di coda, in pieno XXI secolo, una spedizione condotta da alcuni archeologi, ha scoperto, proprio nel punto indicato da Fawcett, una fitta ragnatela di strade, ma anche ponti e alcune vestigia di una misteriosa civiltà. Albert Einstein disse: «La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza».

Note:
1. Alfredo Castelli, L’Enciclopedia dei Misteri, a cura di, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993.
2. Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), famosa occultista, nel 1875 fu cofondatrice di una delle più famose associazioni esoteriche la “Società Teosofica”. Il termine teosofia deriva dal greco e significa “conoscenza di Dio”. Il pensiero teosofico sostiene che tutte le religioni deriverebbero da un’unica verità divina. (Wikipedia)
3. A. Castelli, op. cit.
4. A. Castelli, op. cit.
5. A. Castelli, op. cit.

Fonti:
L’Enciclopedia dei Misteri, Alfredo Castelli, a cura di, A. Mondadori Editore, Milano, 1993.
Wikipedia
http://www.mymovies.it/film/2016/thelostcityofz/
http://www.mymovies.it/film/2016/thelostcityofz/rassegnastampa/765866/
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/verit-scientifica-non-si-pu-decidere-alzata-mano-spiegava-1392352.html

Credit: Wikipedia