«La popolazione mondiale non può crescere illimitatamente perché le risorse del nostro pianeta sono limitate»(1). Fu Thomas R. Malthus, economista inglese, alla fine del 18° secolo, definito il “lugubre parroco”, a sostenerlo. Ed è più o meno questo il succo del discorso di apertura, tutt’altro che lugubre, dello scienziato in Downsizing, diretto da Alexander Payne. Per sopperire alla crisi del pianeta uno scienziato norvegese, attraverso un procedimento di miniaturizzazione cellulare, riesce a rimpicciolire l’essere umano fino ad un’altezza (si fa per dire) di circa 12 cm! Di modo che, per quanto riguarda i rifiuti, un mezzo sacchetto di spazzatura «contiene tutti i rifiuti prodotti da 36 persone nel corso di quattro anni!». Apoteosi. «Una cosa pazzesca!», esclama il protagonista Paul Safranek, un uomo qualunque, interpretato da Matt Damon, che affascinato dalla possibilità di “vivere alla grande” (un centinaio di migliaia di dollari, valgono milioni, viste le dimensioni ridotte), decide di sottoporsi, insieme alla moglie (che rifiuta all’ultimo istante), al procedimento irreversibile per andare poi a vivere a LeisureLand, la terra del tempo libero: una mini città coperta da una cupola. L’idea del ridimensionamento del film, scritto a quattro mani dallo stesso regista e da Jim Taylor, non è del tutto originale: in letteratura fu Kurt Vonnegut a parlarne nel suo romanzo Comica Finale (1976); al cinema ricordiamo tra gli altri il bellissimo Radiazioni BX Distruzione uomo, tratto da un romanzo di R. Matheson e diretto dal grande Jack Arnold nel 1957, e il divertente Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi (J. Johnston, 1989), dove un piccolo gruppo di adolescenti, rimpiccioliti dal padre scienziato, si ritrovano catapultati nel giardino di casa che, date le loro dimensioni ridotte, diventa una vera giungla dove tutto è un potenziale pericolo, persino gli insetti. Ed ecco il perché della cupola a protezione della città in miniatura che ricorda la Pleasantville di Gary Ross (1998), bianco/nero a parte, la perfezione è solo apparenza perché, il protagonista dopo aver conosciuto Ngoc Lan Tran (l’attrice Chau Hong), dissidente vietnamita che ha perso una gamba partecipando ad un’azione terroristica, altro contro concettuale, con i terroristi nascosti in una scatola per la tv, appena fuori dalla cupola, quindi a cielo aperto, scopre la periferia della città oltremodo identica a quella di ogni altra città maxi. Un coacervo di persone che, al solito, lotta ogni giorno per sopravvivere. Nulla è cambiato.
Per tanto è possibile dividere l’opera di Payne in tre fasi distinte, la prima fantascientifica, con verosimili effetti speciali, dove se da un lato non mancano le dichiarazioni entusiastiche di chi crede che il ridimensionamento sia l’unica soluzione per tutti i mali che affliggono il pianeta, da un lato c’è chi si chiede se i “Mini” dovrebbero avere gli stessi diritti dei “Maxi”, viste le diverse dimensioni, voto incluso. «Possono rimpicciolire le persone, possono andare su Marte, ma non possono curare la mia fibromialgia!», sentenzia la mamma di Paul, quindi il tutto è solo un modo «per fare soldi», replica l’amico. Curiosa la scena dove i piccoli corpi, poggiati sull’enorme letto, vengono raccolti, delicatamente, con una sorta di paletta… Verrebbe da chiedersi, se ci fosse un pazzo, quanto tempo impiegherebbe ad usare quella paletta in modo diverso…
La seconda, forse un po’ lunga, risulta propedeutica per la terza parte, dove il film sembra completamente virare su concetti tutt’altro che fantascientifici che, come un prestabilito colpo di scena, non sembravano essere nelle corde della pellicola stessa: l’estinzione della specie umana.
Quando il protagonista va in Norvegia, ospite della colonia primaria, scopre che la notizia, apparentemente insignificante di una fuoriuscita di gas metano in Antartide(!), non contenuta, porterà all’estinzione dell’uomo sulla Terra entro una o al massimo due generazioni. Suggestiva la scena del saluto all’ultimo tramonto, quando il sole scompare alla vista di quanti hanno deciso di rinchiudersi in un rifugio che li potrà ospitare per qualche migliaio d’anni. Alla fine qual è la morale? La morale è che sì, l’uomo si dovrebbe ridimensionare, ma certo non in altezza, così l’umanità tornerebbe più sostenibile per la Terra che non sarebbe più un Paradiso Amaro(2).
Note:
1. I. Robertson, Sociologia, Bologna, Zanichelli, 1988.
2. di A. Payne, 2011, Premio Oscar miglior sceneggiatura non originale (2012).
Fonti:
http://www.mymovies.it/film/2017/downsizing/
http://www.mymovies.it/film/imperdibili/2018/
https://www.mymovies.it/film/2017/downsizing/news/tutte-le-dimensioni-del-cinema/
http://www.mymovies.it/film/2017/downsizing/rassegnastampa/776105/
http://www.fantascienza.com/23255/downsizing-vivere-alla-grande-nelle-sale
Credit: foto tratte da www.mymovies.it
[…] giuseppenardoianni.it […]
L’idea di un uomo miniaturizzato che, proprio grazie alle sue ridottissime dimensioni potrebbe risultare la soluzione a molti problemi, non è certo nuova nel mondo della cinematografia, basti pensare a Salto nel Buio (1987) tratto dal romanzo di Asimov Viaggio Allucinante; risulta però molto interessante il cambio di visuale operato da Payne. Il grido di allarme di una umanità che, ormai quasi più senza freni, si avvicina pericolosamente alla sua estinzione è uno dei tanti argomenti tabù della nostra era, affrontato spesso nelle forme più disparate e rispetto al quale sono state proposte infinite soluzioni. Non volendo entrare nel merito di una interpretazione simbolica che interpreta la parabola discendente dell’uomo come una inevitabile conseguenza legata al flusso e reflusso degli eventi, non possiamo non sottolineare le nostre responsabilità rispetto a quanto stiamo vivendo. La possibile estinzione dell’umanità è direttamente proporzionale all’assurda convinzione, oggi diventata pensiero comune, che questo pianeta sia un immenso campo da gioco, di nostra esclusiva proprietà, una sorta di Pozzo di San Patrizio dal quale estrarre tutto ciò che ci serve, e anche di più, ogni qual volta che ne sentiamo il bisogno. In pratica ci comportiamo come quell’ospite che non soltanto prende possesso della casa che lo ha accolto, ma che non si ferma fino a quando non finisce per distruggerla. Sembrano discorsi new age ma non lo sono, la logica stessa dovrebbe suggerirci la soluzione, quella stessa logica che il sistema tenta in tutti i modi di soffocare, sviare, mettere a tacere a favore di quegli interessi di pochi che ormai conosciamo molto bene. Un plauso quindi al regista, accompagnato dalla speranza che quest’altra goccia caduta nel sempre più agitato mare delle coscienze che iniziano a risvegliarsi, possa contribuire a renderci finalmente uomini e donne che agiscono e che non sono più agiti dai “soliti ignoti”.